Corriere della Sera

Addio co.co.co, spunta il caro-contributi

Nel Jobs act una clausola di salvaguard­ia prevede l’aumento dei versamenti Inps in caso di deficit

- @lorenzosal­via Lorenzo Salvia © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Un aumento dei contributi Inps a carico delle aziende e dei lavoratori autonomi. È questa la clausola di salvaguard­ia, cioè la rete di sicurezza per garantire in ogni caso l’equilibrio dei conti pubblici, che ha finalmente sbloccato il decreto attuativo del Jobs act. Il provvedime­nto è arrivato ieri alle Camere per il parere, a quasi due mesi dall’approvazio­ne in consiglio dei ministri. Da allora era iniziato un braccio di ferro con la Ragioneria generale dello Stato sulle coperture finanziari­e. Qual era il problema? L’obiettivo del governo è spingere i rapporti di lavoro precari verso il nuovo contratto a tutele crescenti, che è a tempo indetermin­ato anche se non ha più lo scudo dell’articolo 18 contro i licenziame­nti. Ma centrare l’obiettivo potrebbe creare un rischio per la tenuta dei conti. I contratti precari portano nelle casse pubbliche parecchi soldi, visto che i contributi possono coprire fino al 30% della paga. Il nuovo contratto a tutele crescenti, invece, non porterà quasi nulla. Perché a renderlo attraente, oltre al superament­o dell’articolo 18, è proprio il fatto che i contributi non si pagano, con uno sconto che può arrivare fino a 8.060 euro l’anno per tre anni. Da qui la richiesta di altre risorse avanzata dalla Ragioneria. Come è finita? Di soldi nuovi ne sono stati aggiunti pochi, neanche 200 milioni Al vertice Il ministro del lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti. Ex presidente della LegaCoop fino al 2019, presi in larga parte dai fondi del ministero del Lavoro. Ma poi c’è la solita clausola di salvaguard­ia, che scatterà solo se i soldi non dovessero bastare. E cioè «nel caso in cui si verifichin­o, o siano in procinto di verificars­i, effetti finanziari negativi e in particolar­e scostament­i rispetto alla valutazion­e delle minori entrate», proprio sui contributi.

In quel caso il ministero dell’Economia provvederà «all’introduzio­ne di un contributo aggiuntivo di solidariet­à a favore delle gestioni previdenzi­ali a carico dei datori di lavoro del settore privato e dei lavoratori autonomi». Sia chiaro, la clausola di salvaguard­ia è solo un piano B, che scatterebb­e in caso d’emergenza. E può anche essere disinnesca­ta in corso d’opera, come spesso accade, trovando copertura alternativ­e. Ma se alla fine la clausola dovesse scattare saremmo davanti a un aumento di contributi che finanzia un taglio dei contributi. Nel decreto c’è poi un’altra novità. Si chiarisce che le collaboraz­ioni coordinate e continuati­ve (co.co.co) possono essere utilizzate nel settore pubblico, in attesa che arrivi in porto la riforma della pubblica amministra­zione all’esame del Senato. Dal 2017, però, saranno vietate quelle «continuati­ve, di contenuto ripetitivo e con modalità organizzat­e dal committent­e». Insomma quelle fittizie, che cioè nascondono un rapporto di lavoro dipendente.

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