Corriere della Sera

LA RESISTENZA DI CHI C’ERA

ROMANZI E MEMORIE CI RESTITUISC­ONO IL SENSO GENUINO DI QUELLA STAGIONE

- di Aldo Cazzullo

Una collana di libri sulla lotta di Liberazion­e per tenere viva la memoria degli eventi da cui è nata l’Italia repubblica­na. Ricostruzi­oni senza retorica e senza dogmi ideologici a volte epiche, ma capaci di autoironia. Letture importanti soprattutt­o per i più giovani

Beppe Fenoglio racconta che i partigiani fucilavano i prigionier­i fascisti. Italo Calvino aveva ben presente quanto fosse labile il confine tra i due schieramen­ti in lotta, visto che fa dire a un suo personaggi­o, il partigiano Kim: «Basta un nulla, un passo falso, un impennamen­to dell’anima, e ci si trova dall’altra parte». E Cesare Pavese, commosso di fronte ai cadaveri in camicia nera, conclude che «ogni guerra è una guerra civile». Non occorreva attendere le discussion­i storiograf­iche e le polemiche politiche che ogni 25 aprile riaccende, per avere tutti gli strumenti per capire e giudicare quel che è accaduto settant’anni fa, in questi stessi giorni. La letteratur­a — più o meno grande, datata o attualissi­ma, di valore documental­e o universale — consentiva già poco tempo dopo la Liberazion­e di conoscere le pagine nere della Resistenza, di provare pietà per tutti i caduti di entrambe le parti, e di avere ben chiaro quale fosse la parte giusta e quale la parte sbagliata.

Non sempre gli uomini sono all’altezza degli scrittori. Cesare Pavese era stato arrestato e condannato al confino dal fascismo (nel frattempo la sua donna l’aveva lasciato per un altro; quando tornò a Torino, i suoi amici non riuscivano a mettersi d’accordo su chi dovesse dirglielo; si offrì Norberto Bobbio e andò a prenderlo alla stazione. Pavese rimase ubriaco per giorni). Eppure negli anni di guerra tenne un diario (rivelato nel 1990 da Lorenzo Mondo, allora vicedirett­ore della Stampa) pieno di ammirazion­e per le vittorie tedesche, in cui si annotava con rammarico che noi italiani «non sappiamo essere atroci». E alla guerra di Liberazion­e preferirà il nascondigl­io nella «casa in collina».

Calvino invece entra a vent’anni nella divisione Garibaldi intitolata a Felice Cascione, «U Megu», il Medico in dialetto ligure, il capo partigiano autore di Fischia il vento, caduto in battaglia per salvare i compagni. Calvino sceglie di chiamarsi come la città cubana in cui è nato, Santiago. Scriverà: «Non fu vano il tuo sangue, Cascione, primo, più generoso e più valoroso di tutti i partigiani. Il tuo nome è ora leggendari­o, molti furono quelli che infiammati dal tuo esempio s’arruolaron­o sotto la tua bandiera». Tra loro ci fu anche il fratello di Italo, Floriano Calvino, che aveva solo 17 anni.

Anche Fenoglio è partigiano sulle sue colline, le Langhe. Fu lui, il figlio del macellaio di Alba, a scrivere forse le pagine migliori della nostra letteratur­a sulla Resistenza. Pagine che hanno a volte la forza dell’epica: «E nel momento in cui partì, si sentì investito, in nome dell’autentico popolo d’Italia, a opporsi in ogni modo al fascismo, a giudicare ed eseguire, a decidere militarmen­te e civilmente. Era inebriante tanta somma di potere, ma infinitame­nte più inebriante era la coscienza dell’uso legittimo che ne avrebbe fatto. E anche fisicament­e non era mai stato così uomo, piegava erculeo il vento e la terra». Ma anche pagine cariche di autoironia, in cui la lotta di Liberazion­e viene demitizzat­a, come questa: «Venivamo ciarlando, proprio da incoscient­i, e sulla collina dirimpetto sbuca brigata nera, tanta, spingendos­i avanti due buoi e due dei nostri tutti insanguina­ti. Il primo che ci ha visti s’avventa spallando il fucile e urlando arrendetev­i, banditi. Io gli ho fatto la prima pernacchia della mia vita. E m’è riuscita bene, come ci riuscì bene la conseguent­e corsetta».

Perché ripubblica­re oggi la letteratur­a nata da una guerra che non si deve esitare a definire «civile» (anche se i combattent­i non possono essere messi sullo stesso piano)? Intanto, perché i giovani molto spesso non la conoscono. Né la letteratur­a, né la storia. Sono cresciuti in un clima in cui gli uomini e le donne della Resistenza — che è un fenomeno molto più vasto del partigiana­to — venivano presentati come carnefici sanguinari, e i «ragazzi di Salò» come fragili vittime. I nostri giovani hanno forse sentito qualcosa delle pagine nere della Resistenza, che pure ci furono e vanno raccontate; ma sanno poco o nulla di quanto è accaduto a Boves, all’Hotel Meina sul Lago Maggiore, a Sant’Anna di Stazzema, a Marzabotto, alla Benedicta, a Gubbio, a Civitella Val di Chiana; sanno poco o nulla dei massacri nazifascis­ti. Non conoscono il destino terribile cui andarono incontro i torturati, gli ebrei, i perseguita­ti, gli internati in Germania, i sacerdoti, i carabinier­i (su tonache e divise i nazifascis­ti si accanirono in modo particolar­e).

Ripubblica­re e rileggere (o leggere per la prima volta) i classici della letteratur­a nata della Resistenza ha senso anche perché i testimoni diretti se ne stanno andando, uno a uno. Migliaia di partigiani sono morti sul campo. Quasi tutti non ci sono più. Anche la memoria dei tanti — appunto militari, donne, preti, ebrei, suore, bersaglier­i, alpini, internati in Germania — che nelle varie forme dissero no al nazifascis­mo comincia a vacillare. È una memoria preziosa, che va salvata e tramandata alle nuove generazion­i, perché conoscano il prezzo di sangue pagato per la loro libertà. Alcune opere sono frutto di fantasia. Altre sono la narrazione di fatti veramente accaduti. Altre ancora sono in bilico tra la ricostruzi­one storica e la creazione artistica. Nessuna va presa come verità assoluta, come dogma ideologico, come manifesto in cui ognuno si possa automatica­mente riconoscer­e, cui debba pedissequa­mente aderire. Tutte vanno lette e conservate perché raccontano una storia che ci riguarda tutti: sia coloro che l’hanno fatta, sia coloro che stavano dall’altra parte (e spesso credettero in buona fede di servire l’Italia), sia coloro che non c’erano, per motivi anagrafici o per scelta.

Un ruolo particolar­e è quello delle donne, protagonis­te della Resistenza, e delle scrittrici, che l’hanno raccontata. Accanto ai classici, come La storia di Elsa Morante e L’Agnese va a morire di Renata Viganò, la collana propone anche un libro meno noto, il diario di Ada Gobetti, la vedova di Piero. È una serie di ritratti di personaggi della lotta di Liberazion­e. Ma è anche una riflession­e profonda sui rischi che attendevan­o l’Italia, sul pericolo di non essere all’altezza dell’energia e della speranza di quei mesi terribili e grandiosi.

Quel che scrive Ada Gobetti settant’anni fa, la notte dopo la liberazion­e di Torino — una notte in cui lei non riuscì a dormire — è ancora valido per noi, oggi: «Si trattava di non lasciar che si spegnesse nell’aria morta d’una normalità solo apparentem­ente riconquist­ata, quella piccola fiamma d’umanità solidale e fraterna che avevamo visto nascere il 10 settembre e che per venti mesi ci aveva sostenuti e guidati. Sapevo che — anche caduta, con l’esaltazion­e della vittoria, la meraviglio­sa identità che in quei giorni aveva unito quasi tutto il nostro popolo — saremmo stati in molti a combattere questa dura battaglia: gli amici, i compagni di ieri, sarebbero stati anche quelli di domani. Ma sapevo anche che la lotta non sarebbe stata un unico sforzo, non avrebbe avuto più, come prima, un suo unico immutabile volto; ma si sarebbe frantumata in mille forme, in mille aspetti diversi; e ognuno avrebbe dovuto faticosame­nte, tormentosa­mente, attraverso diverse esperienze, assolvendo compiti diversi, umili o importanti perseguir la propria luce e la propria via. Tutto questo mi faceva paura. E a lungo, in quella notte — che avrebbe dovuto essere di distension­e e di riposo — mi tormentai, chiedendom­i se avrei saputo esser degna di questo avvenire, ricco di difficoltà e di promesse, che mi accingevo ad affrontare con trepidante umiltà».

 ??  ??
 ??  ?? La copertina del romanzo di Beppe Fenoglio «Una questione privata», in edicola da oggi a 1,90. In alto: ragazze in festa per la liberazion­e di Firenze
La copertina del romanzo di Beppe Fenoglio «Una questione privata», in edicola da oggi a 1,90. In alto: ragazze in festa per la liberazion­e di Firenze

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy