L’azienda e le esondazioni Una vita accanto al fiume
Memorie dell’imprenditore Fulvio Bracco, pubblicato dalla Fondazione che porta il suo nome. Per le tensioni sociali che si avvertivano nell’immediato Dopoguerra, per il rischio che nasceva da un nuovo modo di fare industria.
Per il Lambro: «Nel 1951 – scrive l’industriale – lo stabilimento era ancora costituito da pochissimi reparti. In autunno la pioggia ha flagellato il Nord Italia e ha provocato la grande alluvione del Polesine. Si è gonfiato anche il Lambro, che è esondato e ha sommerso il
Fulvio Bracco Acquistò i terreni nel ‘46 per costruire la fabbrica. E nei suoi diari parla del Lambro inquinato
ponte di via Folli. Per la pressione delle acque si è sollevato il pavimento del seminterrato del fabbricato 6».
Nel ‘57 nuova esondazione (le emergenze non sono cambiate negli anni: l’ultima è dello scorso novembre). «Però — confessa Bracco — a me il Lambro piaceva: era un bel fiume, acque pulite, lungo le sue rive si pescavano i gamberi». E al Lambro fu dedicato uno dei primi interventi dell’industria Bracco a tutela dell’ambiente: un impianto di depurazione negli anni 70.
«Avevo avanzato la proposta a coloro che operavano lungo il fiume di costituire un consorzio per la depurazione delle acque di scarico. La proposta è caduta nel vuoto: hanno continuato a buttare dentro di tutto». Con effetti devastanti e ancora visibili. Lambrate e la
La foto A sinistra, Fulvio Bracco coi dipendenti riuniti alla mensa di Lambrate negli anni Ottanta sua identità.
Il fiume, via Conte Rosso, la torre quattrocentesca di Villa Vigoni, quel carattere indipendente da Milano che traspare dagli sguardi dei vecchi abitanti, che ancora si sentono cittadini di un paese separato dalla metropoli (in realtà la fusione tra i due Comuni risale al 1923). E che dopo lo smantellamento della Innocenti e della Faema si sono sentiti abbandonati dai colossi dell’ingombrante città-madre.
Quegli stessi «lambratesi» che, tra declino e riscatto, con il passare degli anni si sono abituati a nuovi inquilini, nuovi milanesi, nuove attività. Gli editori, per esempio.
I primi designer che, dal Duemila in poi, hanno restituito vitalità a vecchi capannoni e laboratori dismessi. I creativi scandinavi che durante il Salone del Mobile colonizzano il distretto. E, ancora, gli artigiani (anche quelli della birra, con il «birrificio Lambrate» insediato nel 1996), i galleristi.
Una seconda vita alla quale l’industria farmaceutica Bracco non ha voluto rinunciare. Trasformando la sua sede storica in cantiere culturale e sociale.
Nuove prove. Affrontate con lo spirito dimostrato da Fulvio Bracco durante gli anni della ricostruzione: «Sapremo superarle».