1940: L’UNIONE FRANCO-BRITANNICA UNA PROPOSTA DELL’ULTIMA ORA
Nel giugno 1940, quando la Francia invasa dalle armate di Hitler era già agonizzante, Churchill e il suo governo approvarono il principio di una unione franco-britannica che avrebbe fatto di ogni Francese un cittadino britannico e di ogni Inglese un cittadino francese. Le due nazioni avrebbero messo in comune i loro eserciti, i loro Parlamenti, le loro risorse e i loro territori. Il progetto, ideato da Jean Monnet che presiedeva a Londra il Comitato di coordinamento franco-britannico, fu trasmesso da De Gaulle a Paul Reynaud, presidente del Consiglio, ma naufragò di fronte all’ostilità e all’anglofobia della maggioranza dei suoi ministri. Vorrebbe evocare i retroscena e le motivazioni del progetto ed eventualmente analizzarne la sostenibilità? Caro Pettorelli, e ragioni del progetto emergono con chiarezza dal libro di Winston Churchill sulla Seconda guerra mondiale. Dopo la rottura del fronte e la fuga delle forze anglo-francesi verso Dunkerque, l’uomo che era allora primo ministro della Gran Bretagna fece quattro avventurosi viaggi in Francia per incontrare il presidente del Consiglio francese Paul Reynaud e i vertici militari della III Repubblica. Alla riunione
Ldel 31 maggio partecipò anche il maresciallo Pétain, «distante e cupo», che a Churchill dette la sensazione di pensare a una pace separata. Quando un membro della delegazione francese disse che «una continuazione dei rovesci militari avrebbe potuto, ove si fossero verificate certe eventualità, imporre un mutamento della politica estera francese», Pétain non lo contraddisse. Gli inglesi replicarono ricordando che il territorio della Francia, in questo caso, sarebbe diventato terra nemica e soggetto al blocco navale della flotta britannica.
Da quel momento le posizioni dei due Paesi cominciarono a divergere sempre più visibilmente. La Francia chiedeva che alle squadriglie aeree britanniche già presenti nei cieli francesi si aggiungessero quelle rimaste in patria. Ma Churchill rifiutò perché era convinto, con ragione, che la Gran Bretagna non potesse rinunciare al controllo dei suoi cieli senza pregiudicare quello dei mari e la difesa delle rotte marittime. Il suo messaggio ai francesi, in tutti gli incontri di quelle cruciali giornate, fu sempre questo: noi continueremo a combattere e voi potete fare altrettanto nei vostri monti, nei vostri possedimenti dell’Africa mediterranea, persino nelle vie di Parigi, se necessario. Fra i francesi il primo ministro britannico poteva contare su due alleati: il presidente del Consiglio Paul Reynaud, anzitutto, e un generale cinquantenne, da poco promosso e nominato sottosegretario di Stato alla Difesa naziona- le. Era Charles De Gaulle, l’uomo che pochi giorni dopo, dai microfoni londinesi della Bbc, avrebbe esortato i suoi connazionali a continuare la lotta.
Ma in Francia, nel frattempo, aveva prevalso la linea conciliante e rinunciataria del generale Maxime Weygand, comandante supremo, e del maresciallo Pétain. A Reynaud, in uno di quegli incontri, Churchill disse amaramente: «Non può esservi dubbio che Pétain sia uomo pericoloso in questo momento: è sempre stato un disfattista, anche nell’altra guerra». Fu questo il clima in cui il leader britannico decise di lanciare la proposta di una Unione franco-britannica a cui lei, caro Pettorelli, allude nella sua lettera. Lo scopo era quello di convincere il governo francese a trasferirsi in Africa per continuare la guerra. L’occasione per parlarne era un ennesimo incontro anglofrancese progettato per il 17 giugno. Ma Churchill era già seduto sul treno per Southampton, dove si sarebbe imbarcato per Bordeaux (allora sede del governo francese), quando giunse la notizia che si era aperta in Francia una crisi ministeriale. Il viaggio fu cancellato. Nell’ultimo Consiglio dei ministri della III Repubblica, Reynaud cercò di illustrare il progetto predisposto da Jean Monnet e approvato da Churchill. Ma si scontrò con un muro di paura e d’incomprensione. A distanza di poche ore Pétain avrebbe chiesto ai tedeschi un armistizio. Due settimane dopo, a Vichy, il Parlamento francese gli avrebbe concesso i pieni poteri.