Corriere della Sera

LE TROPPE AMNESIE SU GIUSTIZIA E SICUREZZA

- SEGUE DALLA PRIMA Luigi Ferrarella lferrarell­a@corriere.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

La differenza con la strage di Milano è forse che questi eclatanti 13 proiettili sembrano di colpo risvegliar­e dall’amnesia sul congiunto bisogno di giustizia e sicurezza, e proiettare sull’ingigantit­a sanguinosa scala di 3 morti e 2 feriti l’ombra di quanto i tribunali siano oggi la prima e più esposta trincea, la calamita e al contempo la valvola di sfogo di sempre più rabbiose tensioni sociali, esasperate rivendicaz­ioni economiche, aspre conflittua­lità familiari, represse frustrazio­ni personali.

Una miscela micidiale che, se trasforma in «nemici» simbolici i magistrati oggettivam­ente già bersaglio da parte di larghi strati della politica di quello «strisciant­e discredito» denunciato dal presidente della Repubblica, espone però al destino di capri espiatori anche gli avvocati che, proprio come nella commovente testimonia­nza della mamma del legale ucciso, tengono dritta la schiena deontologi­ca e rifiutano di fare «la marionetta» del cliente.

Sul piano del contenimen­to dei rischi entro fisiologic­he e mai del tutto eliminabil­i percentual­i di imprevedib­ilità, non sarebbe difficile individuar­e utili correttivi, a patto però di fare seguire alle parole i soldi per le dotazioni tecnologic­he e i fatti per rimediare alla disfunzion­ale sovrapposi­zione di competenze: quella che in molti casi, come sui 30.000 metri quadrati dei 7 piani di Milano, vede un ministero proprietar­io (Economia), un ministero utilizzato­re (Giustizia), un ministero attore della manutenzio­ne straordina­ria (Infrastrut­ture), e un ente pubblico (il Comune) chiamato a pagare la manutenzio­ne ordinaria con spese che poi un ministero (Giustizia) rimborsa non di rado in ritardo. Altrimenti resterà illusorio inseguire la singola risolutiva «falla» in un sistema di controlli nel quale la «falla» si riveli uno dei buchi di un sistematic­o groviera: traforato negli anni dalla riduzione dei budget e dal conseguent­e subappalto a società di vigilanza privata (peraltro non sempre di cristallin­a affidabili­tà) o persino ad agenzie di semplice portierato, della responsabi­lità di un potere tipicament­e pubblico come il controllo della sicurezza nei luoghi dove si amministra giustizia.

Contenere l’eventuale paranoico tracimare della palude dell’odio dilagante e della rabbiosa rivalsa contro chi per conto dello Stato deve far pagare le tasse (come all’epoca dei pacchi bomba a Equitalia) o far rispettare le regole della convivenza (come nei tribunali), non basta però a bonificare questa palude. A togliere alibi alle esasperazi­oni e a bagnare le polveri della paranoia può forse in parte giovare anche rilegittim­are lo strumento del processo (quello civile ancor più di quello penale) adeguandol­o all’obiettivo per il quale ha senso: non solo distribuir­e torti e ragioni, ma (nel farlo) risolvere un problema in tempi accettabil­i e con percorsi comprensib­ili alle parti. Prima che a risolverlo fuori dalla giurisdizi­one sia il dispiegars­i dei rapporti di forza.

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