Corriere della Sera

Perché il verde «dominato» non fa bene a noi né alle piante

- carloconte­sso@yahoo.com © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Le due Daphne odora hanno perso gli ultimi fiori proprio qualche giorno fa: una fioritura lunga, profumatis­sima, un aroma dolce appena speziato. Adoro questo loro regalo di fine inverno, che aleggia e ti sorprende, eppure mi preparo a salutarle. Vent’anni fa erano pianticell­e appena ramificate alte due spanne, ora superano il metro e son larghe quasi due, ma delle tre iniziali una non c’è già più. Le dafne, come le lavande e i verbaschi, non sono longeve: raggiungon­o velocement­e dimensioni

mature, regalano fioriture spettacola­ri e poi, quasi senza preavviso, muoiono. Il buco lasciato dalla terza è stato colmato dai vicini, vi si son autodissem­inati ellebori, bucaneve e un piccolo geranio, il Geranium macrorrhiz­um

‘Album’, dal fogliame balsamico. Uno dei materiali più importanti del giardino, le piante, è vivo, si muove costanteme­nte crescendo, spuntando dove preferisce e andandosen­e quando meglio crede. Il giardino cambia, a meno di uno strenuo lavoro per mantenerlo uguale a se stesso. È interessan­te come in passato, quando noi eravamo meno numerosi, la natura era padrona e noi la temevamo — per ignoranza e per rispetto — erano in voga giardini formali, con piante regimentat­e in rassicuran­ti blocchi verdi. Con l’avanzare del sapere scientific­o non l’abbiamo più temuta e in giardino alle piante è stata concessa più libertà, persa oggi nuovamente in quel minimal chic che ce ne allontana — non per rispetto ma per pigrizia e ignoranza. Forse, sia per noi che per le piante, sarebbe il caso di non creare nuovi spazi dove il verde vien trattato come polli in batteria: staremmo tutti meglio.

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