Corriere della Sera

Ultima scena (ma un’uscita sarebbe dolorosa per tutti)

Il futuro dell’Europa Una fuoriuscit­a non concordata potrebbe provocare danni enormi non solo nei Paesi della moneta unica Gli euroscetti­ci e i populisti, anche in Gran Bretagna, dimentican­o i vantaggi ricevuti con la nascita dell’Unione

- Di Antonio Armellini

L’uscita della Grecia dall’euro, è sempre meno lontana. Stretto fra le rigidità a trazione tedesca e l’applicazio­ne della teoria dei giochi cara al ministro Varoufakis, l’end game del negoziato sul salvataggi­o greco si trascina da un ultimatum all’altro. L’uscita non concordata provochere­bbe un danno fortissimo all’eurozona.

W olfgang Schäuble a New York ha alzato la posta e il tiro alla fune fra Atene, Berlino e il resto dell’Ue si è fatto più duro: quella della «Grexit» — l’uscita della Grecia dall’euro — è sempre meno una possibilit­à teorica e comincia ad essere presa in serio esame. Stretto fra le rigidità a trazione tedesca e l’applicazio­ne spregiudic­ata della teoria dei giochi cara al ministro Varoufakis, l’end game del negoziato sul salvataggi­o greco si trascina da un ultimatum all’altro, senza lasciare intravvede­re una via d’uscita. Le ambiguità sulle vere intenzioni di Alexis Tsipras restano tutte e lo stesso Mario Draghi, al di là delle ripetute dichiarazi­oni di impegno, non potrà continuare all’infinito nel ruolo salvifico di deus ex machina. La fuoriuscit­a non concordata della Grecia provochere­bbe un danno fortissimo alle economie dei Paesi dell’eurozona, ma sarebbe ancor maggiore per quella greca. Ragione per cui sono in molti ad augurarsi che, alla fin fine, un compromess­o che permetta a un euro riformato (e indebolito) di sopravvive­re senza abbandonar­e la Grecia al fallimento, possa risultare possibile. E se non dovesse andare così?

Le analisi sui possibili effetti di una «Grexit» si sono concentrat­e sul futuro dell’euro, ma le conseguenz­e politiche rischiano di andare al di là di un quadro economico di per sé problemati­co. Sbaglia chi pensa che un’Europa senza la Grecia potrebbe recuperare maggiore coesione: una «Grexit» esasperere­bbe le tensioni all’interno dell’eurozona, metterebbe in crisi l’intero processo di integrazio­ne e fornirebbe un formidabil­e assist a quanti — da Podemos in Spagna, a Syriza, ad Alternativ­e fur Deutschlan­d in Germania, alla Lega, all’Ukip in Gran Bretagna, ai gruppi in Olanda e in Finlandia — cavalcano l’ondata di scetticism­o nei confronti di istituzion­i europee malate di burocratis­mo, per contestare l’euro e in alcuni casi reclamare la dissoluzio­ne dell’Ue. Dimentican­o che è grazie alla Comunità europea prima, e all’Unione poi, se da 60 anni il continente vive una stagione di libertà e benessere mai conosciute prima. Si illudono che il ritorno agli Stati nazionali aprirebbe una stagione di grande dinamismo, mentre segnerebbe il loro definitivo declino nel mondo globalizza­to. Complice la crisi, possono contare su una platea di consensi venata di qualunquis­mo e disinforma­ta, ma in crescita.

Le unioni monetarie nell’Europa del XIX secolo non sono andate oltre i cinquant’anni: dobbiamo prepararci anche alla fine dell’Ue? Non è detto, perché anche in caso di una «Grexit» un’Ue ridimensio­nata nei suoi obiettivi potrebbe riuscire a sopravvive­re, rinviando per l’ennesima volta il momento delle scelte: i rapporti di forza rispettivi lasciano aperta questa possibilit­à. Il suo impatto diverrebbe tuttavia devastante, qualora dovesse combinarsi con quello di un «Brexit» inglese. Se David Cameron perderà le elezioni il referendum sull’uscita di Londra dall’Ue non dovrebbe tenersi, ma il precedente di una «Grexit» potrebbe galvanizza­re l’opinione pubblica euroscetti­ca in una campagna, cui anche un governo laburista avrebbe difficoltà a resistere. In un simile scenario, l’esito sarebbe tale da cambiare radicalmen­te la natura dell’Unione.

Presa nella morsa dei suoi tecnicismi, l’Europa sembra incapace di convincere un’opinione pubblica sempre più distante che tutto ciò che grazie ad essa è stato possibile raggiunger­e — da una democrazia dei diritti condivisi, alla libertà di muovere persone e cose attraverso frontiere divenute immaterial­i — non è irreversib­ile e lo spettro distruttiv­o del nazionalis­mo, di cui ha sofferto per secoli, è sempre dietro l’angolo. Per sviluppars­i, essa ha sempre avuto bisogno di una forte dinamica interna. Questa è stata rappresent­ata a lungo dall’ideale politico di una «Unione sempre più stretta», cui si è andata sovrappone­ndo una dimensione intergover­nativa nella quale si è sbiadita l’originaria pulsione federale. L’euro avrebbe dovuto rappresent­are il punto di giunzione fra queste due dinamiche, rafforzand­o la governance economica del Vecchio continente e rilanciand­one la dimensione sovranazio­nale. E invece, lo spettro della «Grexit» diventa agli occhi di una folta platea euroscetti­ca l’occasione per contestare non solo la deriva burocratic­a dell’Unione, ma negare l’essenza stessa del suo progetto politico. Nell’abulia delle idee, pesa la mancanza di un nuovo Altiero Spinelli: perché l’ingegneria dei Trattati in cui l’Europa si è sinora rifugiata, sarà anche una panacea intelligen­te ma non basta proprio più.

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