Ultima scena (ma un’uscita sarebbe dolorosa per tutti)
Il futuro dell’Europa Una fuoriuscita non concordata potrebbe provocare danni enormi non solo nei Paesi della moneta unica Gli euroscettici e i populisti, anche in Gran Bretagna, dimenticano i vantaggi ricevuti con la nascita dell’Unione
L’uscita della Grecia dall’euro, è sempre meno lontana. Stretto fra le rigidità a trazione tedesca e l’applicazione della teoria dei giochi cara al ministro Varoufakis, l’end game del negoziato sul salvataggio greco si trascina da un ultimatum all’altro. L’uscita non concordata provocherebbe un danno fortissimo all’eurozona.
W olfgang Schäuble a New York ha alzato la posta e il tiro alla fune fra Atene, Berlino e il resto dell’Ue si è fatto più duro: quella della «Grexit» — l’uscita della Grecia dall’euro — è sempre meno una possibilità teorica e comincia ad essere presa in serio esame. Stretto fra le rigidità a trazione tedesca e l’applicazione spregiudicata della teoria dei giochi cara al ministro Varoufakis, l’end game del negoziato sul salvataggio greco si trascina da un ultimatum all’altro, senza lasciare intravvedere una via d’uscita. Le ambiguità sulle vere intenzioni di Alexis Tsipras restano tutte e lo stesso Mario Draghi, al di là delle ripetute dichiarazioni di impegno, non potrà continuare all’infinito nel ruolo salvifico di deus ex machina. La fuoriuscita non concordata della Grecia provocherebbe un danno fortissimo alle economie dei Paesi dell’eurozona, ma sarebbe ancor maggiore per quella greca. Ragione per cui sono in molti ad augurarsi che, alla fin fine, un compromesso che permetta a un euro riformato (e indebolito) di sopravvivere senza abbandonare la Grecia al fallimento, possa risultare possibile. E se non dovesse andare così?
Le analisi sui possibili effetti di una «Grexit» si sono concentrate sul futuro dell’euro, ma le conseguenze politiche rischiano di andare al di là di un quadro economico di per sé problematico. Sbaglia chi pensa che un’Europa senza la Grecia potrebbe recuperare maggiore coesione: una «Grexit» esaspererebbe le tensioni all’interno dell’eurozona, metterebbe in crisi l’intero processo di integrazione e fornirebbe un formidabile assist a quanti — da Podemos in Spagna, a Syriza, ad Alternative fur Deutschland in Germania, alla Lega, all’Ukip in Gran Bretagna, ai gruppi in Olanda e in Finlandia — cavalcano l’ondata di scetticismo nei confronti di istituzioni europee malate di burocratismo, per contestare l’euro e in alcuni casi reclamare la dissoluzione dell’Ue. Dimenticano che è grazie alla Comunità europea prima, e all’Unione poi, se da 60 anni il continente vive una stagione di libertà e benessere mai conosciute prima. Si illudono che il ritorno agli Stati nazionali aprirebbe una stagione di grande dinamismo, mentre segnerebbe il loro definitivo declino nel mondo globalizzato. Complice la crisi, possono contare su una platea di consensi venata di qualunquismo e disinformata, ma in crescita.
Le unioni monetarie nell’Europa del XIX secolo non sono andate oltre i cinquant’anni: dobbiamo prepararci anche alla fine dell’Ue? Non è detto, perché anche in caso di una «Grexit» un’Ue ridimensionata nei suoi obiettivi potrebbe riuscire a sopravvivere, rinviando per l’ennesima volta il momento delle scelte: i rapporti di forza rispettivi lasciano aperta questa possibilità. Il suo impatto diverrebbe tuttavia devastante, qualora dovesse combinarsi con quello di un «Brexit» inglese. Se David Cameron perderà le elezioni il referendum sull’uscita di Londra dall’Ue non dovrebbe tenersi, ma il precedente di una «Grexit» potrebbe galvanizzare l’opinione pubblica euroscettica in una campagna, cui anche un governo laburista avrebbe difficoltà a resistere. In un simile scenario, l’esito sarebbe tale da cambiare radicalmente la natura dell’Unione.
Presa nella morsa dei suoi tecnicismi, l’Europa sembra incapace di convincere un’opinione pubblica sempre più distante che tutto ciò che grazie ad essa è stato possibile raggiungere — da una democrazia dei diritti condivisi, alla libertà di muovere persone e cose attraverso frontiere divenute immateriali — non è irreversibile e lo spettro distruttivo del nazionalismo, di cui ha sofferto per secoli, è sempre dietro l’angolo. Per svilupparsi, essa ha sempre avuto bisogno di una forte dinamica interna. Questa è stata rappresentata a lungo dall’ideale politico di una «Unione sempre più stretta», cui si è andata sovrapponendo una dimensione intergovernativa nella quale si è sbiadita l’originaria pulsione federale. L’euro avrebbe dovuto rappresentare il punto di giunzione fra queste due dinamiche, rafforzando la governance economica del Vecchio continente e rilanciandone la dimensione sovranazionale. E invece, lo spettro della «Grexit» diventa agli occhi di una folta platea euroscettica l’occasione per contestare non solo la deriva burocratica dell’Unione, ma negare l’essenza stessa del suo progetto politico. Nell’abulia delle idee, pesa la mancanza di un nuovo Altiero Spinelli: perché l’ingegneria dei Trattati in cui l’Europa si è sinora rifugiata, sarà anche una panacea intelligente ma non basta proprio più.