Corriere della Sera

Reato internazio­nale, spesso impunito, commesso con l’«intento di distrugger­e» Dallo sterminio khmer in Cambogia all’eccidio a colpi di machete in Ruanda

- Sara Gandolfi

e violare le loro donne. È soltanto a metà del secolo scorso, dopo il processo di Norimberga, che s’afferma l’ideale di una giustizia universale, prende corpo un «diritto delle genti» e il genocidio assume ufficialme­nte il rango di crimine, da perseguire. «Per i morti e per i vivi, dobbiamo testimonia­re», incitò Elie Wiesel.

Non sempre giustizia c’è stata. O ci sarà. Soprattutt­o quando l’eccidio scompare in fretta dai riflettori dei mass media, perché perso in qualche

La Convenzion­e Più di 145 Stati hanno finora ratificato il trattato delle Nazioni Unite del 1948

angolo remoto del pianeta o nei cassetti chiusi della politica mondiale. È accaduto con gli hutu del Burundi, sul cui sterminio nei primi anni 70 non è mai stato aperto un giudizio. Rischia di avvenire in Sudan, per le stragi commesse dalle milizie janjaweed contro i civili in Darfur.

In base alla Convenzion­e Onu del 1948, oggi ratificata da più di 145 Stati, il genocidio comprende una serie di azioni «commesse con l’intento di distrugger­e, interament­e o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso». Nessuno Stato ha però invocato la Convenzion­e mentre i khmer rossi sterminava­no 1,7 milioni di persone (e la Cambogia aveva aderito al trattato fin dal 1950!). E poco o nulla ha fatto la comunità internazio­nale per fermare eccidi più recenti, come quello avvenuto nel 1994 in Ruanda contro la minoranza tutsi. Il «complice silenzio» descritto da Brecht — e temuto dal Papa —è destinato a ripetersi ancora?

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