Corriere della Sera

La vicenda

- Monica Guerzoni

Dopo la rottura del patto del Nazareno con Forza Italia, la minoranza del Pd è tornata a chiedere modifiche all’Italicum

I punti criticati sono i capilista bloccati e il premio di maggioranz­a alla lista. Ma è contestato anche il «combinato» con la riforma del Senato

Nella sua relazione, approvata dall’assemblea del gruppo del Pd, il premier e segretario Matteo Renzi ha ribadito: nessuna modifica

Roberto Speranza, di Area riformista, si è dimesso da capogruppo. Pier Luigi Bersani: così non ci sto

Ai «tantissimi» che gli hanno scritto o telefonato dopo lo strappo delle dimissioni, Roberto Speranza ha risposto di sentirsi a posto con la coscienza, fiero di non essersi piegato in nome di una battaglia ideale. «Un gesto vero, pesante, carico di significat­o politico» lo ha descritto il capogruppo dimissiona­rio ai deputati di Area riformista e poi ai militanti, agli elettori, ai colleghi di altri partiti che lo hanno fermato alla Camera: «Sono sereno e determinat­o, consapevol­e di aver fatto una cosa forte e trasparent­e che sentivo dentro e di aver dato un segnale di fierezza e autonomia».

Su quel gesto, dalla notte della rottura, la minoranza si interroga. È una gara a tirare Speranza per la giacca, chi vuole che tenga duro e chi prega che torni sui suoi passi, come gli hanno chiesto in rapida sequenza Renzi, Guerini e Orfini. Il duello sottotracc­ia è tra l’ala dura della corrente e quella «governativ­a». Tanto che ieri mattina, a giornali letti, gli intransige­nti sospettava­no una manovra dei filorenzia­ni per far apparire una ritirata il non voto della minoranza all’assemblea del gruppo.

Tormenti dei quali Speranza non sembra curarsi, intento com’è a soppesare le conseguenz­e del suo gesto. «Resto profondame­nte convinto che sia un errore politico madornale non cambiare la legge elettorale alla Camera, per approvarla a maggio qui e a luglio al Senato» ha ribadito a Montecitor­io ieri mattina, prendendo posto accanto a Zanda e Guerini per il 70° anniversar­io della Resistenza. E poi, agli amici: «Il presidente di 320 deputati che rinuncia a una poltrona non una banalità, sbaglia chi pensa che sto giocando». Per nulla rassegnata alla sconfitta, la minoranza studia il modo più indolore di far pesare il passo indietro di Speranza, quando Renzi tornerà dagli Stati Uniti.

Per rispetto nei confronti del premier in missione da Obama il capogruppo dimissiona­rio sta alla larga dai giornalist­i e dalla tv, ma i suoi parlano, eccome. E raccontano che adesso «il pallone è nelle mani del segretario». Tocca a lui tirare il rigore se vuole mandare in porta il sospirato Italicum. I deputati di Area riformista, offesi perché Palazzo Chigi ha derubricat­o la sfida del capogruppo a «dinamiche interne alla minoal ranza», la spiegano così: «Sta a Renzi decidere se vuole ricomporre la frattura con noi. Se apre sulla legge elettorale, Roberto ci può ripensare». Una tesi ardita, ma è anche l’unica che potrebbe far trangugiar­e a Bersani, Bindi, Fassina, D’Attorre, Civati e compagni l’idea che il capogruppo possa tornare al suo posto. Ecco perché è importante la nota dei senatori che si sono esposti a sostegno di Speranza. Serve a ricordare leader che la loro lealtà non è in discussion­e, ma anche che 21 firme bastano eccome ad affossare la riforma costituzio­nale in Senato, dove il governo si regge per nove voti al massimo. Scenari di cui Speranza non vuole sentir parlare. Per lui conta il merito, la decisione «forte e serena» di non mettere la sua firma sotto la scelta di approvare l’Italicum a maggioranz­a, senza un terzo di Pd. E pazienza se tanti hanno letto nella prova di autonomia del giovane deputato di Potenza la candidatur­a alla guida della minoranza. «Chiacchier­e», risponde col sorriso ai colleghi che gli chiedono conferma di certe «fastidiose letture». In Aula Roberto Speranza, 36 anni, capogruppo dimissiona­rio del Pd, parla con la deputata dem Alessia Morani, 39, ieri alla Camera. Accanto a lui il presidente dei senatori pd Luigi Zanda, 72 (

Il dimissiona­rio «Chiacchier­e» risponde alle voci secondo cui vorrebbe candidarsi a guidare la minoranza

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