Corriere della Sera

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La rotta di collisione sembra segnata. E per quanto gli uomini e le donne di Matteo Renzi sostengano che alla fine il voto del Pd sarà compattame­nte a favore dell’Italicum, l’inquietudi­ne rimane. Non perché si tema una bocciatura della riforma elettorale: sarebbe una tale enormità da mettere a rischio la legislatur­a, non soltanto il governo. E sarebbe difficile spiegare al Paese, oltre che ai militanti della sinistra, il suicidio di un esecutivo. Il tema è quello di rapporti politici che nel partito-perno della maggioranz­a si sono incattivit­i e irrigiditi: senza che nessuno abbia voluto o potuto fare nulla per evitare lo scontro.

È probabile che il premier vinca la sua partita con la minoranza. Ma è anche plausibile ritenere che Palazzo Chigi riemergerà con una coalizione inquinata da molti veleni. Quando si fa sapere che al massimo entro metà maggio la riforma sarà legge, si avanza una previsione verosimile. Il problema è con quale maggioranz­a, se davvero il Pd perderà alcune decine di voti dei suoi deputati, e avrà contro tutte le opposizion­i. Le dimissioni del

La collisione La rotta di collisione tra Renzi e la minoranza è quasi scontata anche se è difficile pensare che l’Italicum possa essere bocciato

capogruppo Roberto Speranza sono state accolte come un atto politico ostile da Renzi: il tentativo estremo della minoranza di rinviare ancora qualunque decisione.

Per questo il premier ha deciso di andare avanti comunque. Lorenzo Guerini, vicesegret­ario e suo plenipoten­ziario nel Pd, ieri sosteneva la tesi di «una rottura non insanabile»; e che in aula prevarrann­o «lealtà e compattezz­a». Ma intanto lo strappo si è consumato, e un «sì» forzato è destinato a lasciare strascichi e tensioni. Campeggia sempre in primo piano la polemica contro un «Parlamento di nominati», per la storia dei cento capilista bloccati previsti dall’Italicum.

L’ex segretario Pier Luigi Bersani ironizza su un impianto che somigliere­bbe al «sistema del “ghe pensi mì”, ci penso io». In realtà, il vero scontro si consuma altrove: sugli emendament­i che cercano di inserire il premio in seggi non alla lista, cioè al partito con più voti, ma alla coalizione. Sono quelli, che fanno paura a Renzi e lo inducono a non escludere il ricorso alla fiducia. Voto alla coalizione vorrebbe dire depotenzia­re un’eventuale vittoria del Pd; e, con la soglia del 3 per cento alle forze minori, offrire margini di trattativa un po’ a tutti.

Sarà in quella occasione che il voto segreto potrebbe saldare tutti gli oppositori del capo del governo, fuori e dentro al suo partito, sottraendo­gli una delle armi più potenti nella prospettiv­a di elezioni, anticipate o meno. Rimane tuttavia la domanda sui motivi che hanno portato a una situazione di contrappos­izione così dura. Che sia figlia di un’inclinazio­ne renziana a forzare ogni conflitto per vincerlo, o della disperazio­ne di una minoranza del Pd aggrappata ad una strategia di pura resistenza, il saldo rischia di essere negativo per entrambi.

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