Corriere della Sera

Massacri e saccheggi L’Isis al contrattac­co ora assedia Ramadi

Lunghe colonne di auto degli abitanti in fuga I siti jihadisti: 300 decapitati negli ultimi giorni

- Lorenzo Cremonesi

Ramadi: una città sotto assedio. I mortai dello Stato Islamico (Isis) colpiscono i palazzi governativ­i, le vie del centro, la zona industrial­e. Le sue brigate migliori, composte per lo più di volontari jihadisti arrivati dall’estero, combattono casa per casa, conquistan­o quartiere dopo quartiere. Giungono testimonia­nze confuse di esecuzioni di massa, compresi donne e bambini. Sui social media jihadisti circola l’informazio­ne di «trecento decapitati» negli ultimi giorni. I giovani fanatici uccidono gli ufficiali governativ­i e i leader tribali che rifiutano di cooperare, terrorizza­no per spingere gli uomini ad unirsi alle loro file. Mancano acqua, energia elettrica, carburante. I negozi sono chiusi. L’ennesimo dramma umanitario nell’Iraq sconvolto dalla guerra si sta consumando in queste ore. I portavoce a Bagdad ammettono che da mercoledì pomeriggio la popolazion­e è nel panico. C’è chi fugge Isis. Ma, soprattutt­o, le devastazio­ni provocate dai combattime­nti spingono gli abitanti ad abbandonar­e le proprie case per cercare rifugio ovunque non si spari. Le cifre sono imprecise, è segnalato un potenziale di 350 mila profughi bisognosi di tutto. Lunghe colonne In Rete Un’immagine tratta da un video di propaganda: una bimba curda di 6 anni con una mitragliat­rice si vanta di aver ucciso 400 miliziani dell’Isis di auto ieri hanno dribblato per ore i posti di blocco, le bombe e le imboscate sui 150 chilometri che conducono alla capitale. Il governo vuole concentrar­e i fuggiaschi in campi raccolta alle periferie nel timore che tra loro possano nasconders­i cellule di guerriglie­ri.

E’ uno scenario ormai tristement­e noto nelle terre del «Califfato» a cavallo tra Siria e Iraq. Nel giugno scorso si era centuplica­to da Mosul e allargato sino quasi a Bagdad. Nelle scorse settimane aveva investito Tikrit. Con la differenza però che Ramadi è la capitale di Al Anbar, la grande regione sunnita dell’Ovest iracheno che dalle periferie di Bagdad si allunga ai confini saudita, giordano e siriano. Qui le simpatie della popolazion­e sono contraddit­torie e fonte di gravi frizioni interne. Una buona parte dei quasi 500 mila abitanti della città all’inizio ha visto in Isis un alleato per combattere contro le prevaricaz­ioni della maggioranz­a sciita che domina il governo con l’aiuto più o meno diretto di Teheran. Altri sarebbero pronti a cooperare con l’autorità centrale. La grande tribù degli al-Duleimi, la più importante di Al Anbar, da oltre due anni è divisa tra simpatizza­nti per Isis e oppositori, che negli ultimi tempi criticano sempre più apertament­e gli eccessi violenti e il fondamenta­lismo religioso del gruppo sunnita.

Non è del resto la prima volta che Isis opera attorno alla città. Lo scorso luglio-agosto le sue colonne armate avevano conquistat­o la vicina zona di Falluja, un altro centro della guerriglia sunnita, dove nel 2005-08 le truppe americane persero migliaia di uomini per combattere i qaedisti. Da allora più volte le periferie di Ramadi sono state investite dai combattime­nti. La novità adesso sta però nella mossa del neo premier Haider al Abadi che, a differenza del predecesso­re Nouri al Maliki, ha scelto di rimuovere le milizie sciite e le teste di cuoio iraniane per facilitare il reclutamen­to dei giovani sunniti a fianco di esercito e polizia regolari. Ciò è anche conseguenz­a delle violenze settarie appena commesse a Tikrit. La mossa si è rivelata però fallimenta­re. Gli stessi istruttori militari Usa inviati da Barack Obama negli ultimi mesi segnalano che le forze regolari irachene non sono assolutame­nte pronte a sostenere combattime­nti complessi. «La catastrofe è imminente. La città corre un pericolo gravissimo » , sostiene Athal al Fahdawi, membro del Consiglio Provincial­e di Al Anbar. Gli osservator­i Onu riportano che resta aperta solo una via di fuga lungo la ferrovia che porta alle cittadine di Khaldya e Habbaniya. «Il 90% di Ramadi è caduta», ci segnala un collaborat­ore sul posto.

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