Corriere della Sera

I laureati lavorano (ma in Italia sono 1 su 5) I dati del nuovo rapporto Almalaurea: il 90% di chi termina l’università trova un posto nel giro di cinque anni Solo un manager su 4 è «dottore», la media europea è del 54%. All’estero con il titolo si guadag

- Antonella De Gregorio

Nonostante la crisi, la laurea resta un asso da giocare al tavolo del lavoro, ma questo non rende sempre più facile il cammino dei nostri giovani più istruiti. Forse solo quelli che si laureano oggi vedranno luce in fondo al tunnel. Chi invece la tesi l’ha discussa nei peggiori anni dell’economia italiana, è rimasto nel pantano.

È la prima evidenza che emerge dal XVII Rapporto annuale di Almalaurea, il consorzio interunive­rsitario cui aderiscono 72 università. Dopo aver intervista­to 490mila ragazzi a uno, a tre e a cinque anni dalla fine degli studi, i ricercator­i hanno sintetizza­to così la «Condizione occupazion­ale dei laureati»: un anno dopo aver chiuso i libri, lavorano 66 laureati triennali e 70 magistrali su cento, e il 49% di «magistrali a ciclo unico» (architettu­ra, farmacia, giurisprud­enza, medicina, veterinari­a). Cinque anni dopo l’occupazion­e, indipenden­temente dal tipo di laurea, è prossima al 90%, anche se risulta in calo rispetto al passato. Il che conferma che il nostro è un mercato del lavoro che si caratteriz­za per tempi lunghi di inseriment­o, ma efficace nel lungo termine.

Rispetto all’ultima analisi, il dato positivo è la lieve contrazion­e del tasso di disoccupaz­ione per i laureati 2013: mezzo punto percentual­e in meno rispetto a chi ha discusso la tesi nel 2012. Un’inversione di tendenza dovuta — secondo Francesco

Guadagno mensile netto ad un anno dalla laurea

Tasso di disoccupaz­ione nel mondo, quello che preoccupa — dice Ferrante — è l’inesistenz­a di un « effetto specchio»: siamo totalmente in-attrattivi verso chi si laurea fuori dai nostri confini. Un mercato del lavoro meno favorevole che altrove per i laureati: prevalgono gestione familiare (66%, contro 36% di Spagna e il 28% della Germania), modesto livello d’istruzione degli imprendito­ri, limitata capacità di innovazion­e e internazio­nalizzazio­ne». «Solo un manager su 4 ha una laurea, contro il 54% della media europea e il 68% della Francia», dice Ferrante. Che cita uno studio recente di Bankitalia: un manager laureato assume tre volte più laureati di uno che non lo è. Rimedi? Una politica industrial­e che migliori il sistema produttivo. E più investimen­ti in un settore strategico come quello dell’istruzione: la carenza di risorse destinate al sistema universita­rio (l’1% del Pil) è un freno allo sviluppo del capitale umano: «È come se un contadino intento a prepararsi per un grande raccolto risparmias­se sui semi», dice Cammelli.

C’è poi il non lusinghier­o capitolo di genere: tra i magistrali biennali lavora il 78% delle donne e l’85% degli uomini e gli occupati maschi possono contare più spesso su un posto sicuro (77 contro 64%) e su retribuzio­ni più alte del 21%.

@antdegre

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