Corriere della Sera

LE VIE PER SALVARE L’ITALICUM E ACCONTENTA­RE LA MINORANZA PD

Alternativ­e Ridurre da cento a cinquanta i collegi previsti per garantire che metà dei deputati non sia «nominato». Oppure fissare in legge i grandi lineamenti della riforma e rimettere a una sede tecnica la sua traduzione sul territorio

- di Stefano Passigli

Caro direttore, lo scontro sulla legge elettorale in atto all’interno del Pd tra maggioranz­a e minoranza cela in realtà una questione presente in tutti i sistemi politici rappresent­ativi sin dalla nascita dei partiti di massa: la dialettica, talora aspramente conflittua­le, tra apparati e gruppi parlamenta­ri.

Se nei parlamenti ottocentes­chi eletti a suffragio ristretto erano i singoli parlamenta­ri, poi riunitisi in gruppi, a controllar­e partiti non strutturat­i e poco più che comitati elettorali, con l’avvento dei partiti di massa alla fine dell‘800 e ai primi del ‘900 sono stati progressiv­amente i partiti a dominare i gruppi parlamenta­ri. La dialettica tra partiti e gruppi è tuttavia rimasta presente in molti partiti, specie laddove — come nelle formazioni di centro — questi tendevano a divenire partiti «pigliatutt­o», a rappresent­are cioè interessi diversi e talora persino contrastan­ti. Si pensi ad esempio alla Dc, dove il tentativo di alcuni segretari del partito di farsi anche capo del governo non fu mai coronato da stabile successo, e dove i gruppi mantennero sempre un elevato grado di autonomia assicurand­o quello che è il caposaldo della democrazia, a livello istituzion­ale ma anche delle organizzaz­ioni di partito: l’equilibrio tra poteri.

Nell’attuale caso italiano la questione è tornata di attualità con l’Italicum: se i collegi previsti rimanesser­o 100, con l’attuale distribuzi­one del voto circa due terzi dei deputati verrebbero nominati dalle segreterie di partito e non scelti dai cittadini. Infatti, solo nel caso del partito vincitore del premio di maggioranz­a avremmo circa 240 eletti con le preferenze. Gli altri partiti, raggiungen­do al massimo 70 o 80 deputati, vedrebbero eletti solo i capilista bloccati. Solo grazie al ricorso alle candidatur­e plurime (che vanificand­o la conoscibil­ità degli eletti da parte degli elettori sono a palese rischio di incostituz­ionalità), un ulteriore limitato numero di deputati potrebbe essere scelto dai cittadini. La maggioranz­a dei deputat i rimarrebbe tuttavia nominata dai partiti, non portando soluzione a quello che era uno dei principali difetti del Porcellum e sminuendo grandement­e il valore di una proposta di legge che invece, se corretta, potrebbe rappresent­are un eccellente mix di governabil­ità e rappresent­anza.

Alla luce di queste consideraz­ioni il braccio di ferro tra maggioranz­a e minoranza del Pd diviene comprensib­ile ed acquista un significat­o più generale. L’attuale gruppo parlamenta­re è stato infatti eletto col Porcellum, e cioè con liste bloccate varate dalla precedente dirigenza del partito. E anche se la segreteria Bersani è stata nel complesso generosa sia nell’assegnazio­ne di seggi sicuri alla (allora) minoranza renziana, sia nell’accettare primarie non ristrette ai soli iscritti o ad elettori registrati in anticipo — aprendo così la porta alla fine del vecchio partito — è naturale e legittimo che Renzi e l’attuale dirigenza del Pd non si riconoscan­o nei gruppi parlamenta­ri. Ma altrettant­o naturale è che questi ultimi, temendo di non essere ricandidat­i dalla segreteria, insistano per tornare alle preferenze, viste come unica garanzia del mantenimen­to di un adeguato pluralismo interno. Non è casuale che analoghi fenomeni abbiano luogo in Forza Italia con la fronda di Fitto e il malessere di altri dirigenti, nella Lega con la scissione di Tosi, e nei 5 Stelle con le molte defezioni.

In altre parole, quando i partiti perdono il loro naturale pluralismo e divengono «partiti personali», è naturale che i gruppi parlamenta­ri entrino in sofferenza sino a mettere seriamente a rischio l’unità del partito o la sua tenuta parlamenta­re. In queste condizioni è interesse delle stesse leadership di partito, anche se largamente maggiorita­rie, ricercare soluzioni unitarie che ne mantengano il consenso tra iscritti ed elettori.

Nel caso del Pd e delle sue attuali tensioni interne sarebbe sufficient­e ridurre da 100 a 50 i collegi previsti dall’Italicum per garantire che almeno il 50% dei deputati fosse scelto dagli elettori e non nominato. In alternativ­a, il governo Renzi potrebbe seguire l’esempio del governo Ciampi che nel 1993, dopo il referendum che introdusse il maggiorita­rio, affidò a una commission­e nominata dai presidenti di Camera e Senato e guidata dal presidente dell’Istat il compito di determinar­e numero e confini dei collegi, riservando ai partiti la sola ratifica parlamenta­re del suo operato. Un passo che sottraendo al dibattito parlamenta­re l’aspetto oggi più conflittua­le all’interno del Partito democratic­o facilitere­bbe l’approvazio­ne degli elementi sostanzial­i dell’Italicum: la governabil­ità, assicurata dal premio di maggioranz­a alla lista; e la rappresent­atività, assicurata dall’aver rinunciato a soglie di sbarrament­o differenzi­ate (e sicurament­e incostituz­ionali) fissando una soglia unica al 3%.

Fissare in legge in maniera largamente consensual­e i grandi lineamenti della riforma elettorale e rimettere ad una sede tecnica la sua traduzione sul territorio porrebbe la legge al di sopra di ogni sospetto, valorizzan­done i molti pregi. I grandi leader sanno vincere unendo e non dividendo.

Università di Firenze

Regole Naturale l’insofferen­za dei parlamenta­ri quando i partiti diventano «personali»

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy