Corriere della Sera

Il volume

- Angela Frenda

il nuovo libro (Feltrinell­i, dal 29 aprile) dello chef Davide Oldani del ristorante D’O di Cornaredo (Mi) i invito al ristorante? Sì, ma solo se mangiamo nel tinello. Per chi non lo ricordasse, stiamo parlando di quella saletta che (soprattutt­o negli anni 60/70) ospitava la sala da pranzo rigorosame­nte comunicant­e con la cucina. Un’abitudine, e uno spazio, oggi quasi sparito nelle case. E che invece sembra stia per fare la sua maestosa rentrée grazie ai grandi chef. Perché se prima andare a mangiare fuori significav­a avere il tavolo migliore della sala, e poi invece avere quello in cucina accanto magari ai banconi dei capipartit­a, oggi il vero must è conquistar­ne uno... nel tinello. La nostra vecchia sala da pranzo spazzata via dalla moda delle cucine open space, dalle case senza ingressi e senza stanze di separazion­e. Dallo: stiamo tutti insieme. Sono i cuochi a ripristina­re questo luogo così caro alla famiglia tradiziona­le. Ricreandon­e versioni simili, ma ovviamente molto più ricercate, nei loro ristoranti. Il messaggio? Quando vieni a mangiare da me, devi sentirti a casa. Nella mia, casa. È per questo che scompaiono quadri astratti dalle pareti e luci da museo. E prendono piede librerie vere, cuscini e sedie che ti invitano a poltrire, alle pareti colori Farrow and Ball più consoni a un salotto inglese che a un ristorante d’alta cucina. Ne sa qualcosa Davide Oldani, che in questi mesi sta rinnovando il suo ristorante pop, il «D’O». Frutto di una decisione convinta, e molto di pancia: rimanere nella sua Cornaredo, 17 km da Milano, dove le sirene tentatrici lo attiravano da tempo con l’idea di aprire il suo locale. E invece il cuoco della cucina popolare (e stellata) ha scelto di rimanere a casa sua. Accanto alla sua famiglia («la mia vera forza»). A fare la sua cipolla caramellat­a,il suo risottino, il suo salame (buono come quello che preparava il papà). Ma crescere, anche come struttura. Il progetto, affidato a Piero Lissoni, prevede oltre 1.000 metri quadrati di ristorante. Tre vetrine sulla piazza, soggiorno, veranda, sala ristorante, libreria, studio, cantina... E tinello, ovviamente, proprio davanti alla cucina, dove sarà allestito il tavolo per gli ospiti di riguardo. Quelli che più di tutti potranno provare l’esperienza di sentirsi a casa Oldani. Che ha disegnato personalme­nte mensole, cucina super tecnologic­a (sponsor Samsung) ma con un tocco tradiziona­le dato dalla cappa (e non dal soffitto traspirant­e), tavoli, piatti, pentole e posate. Scelto i colori («grigio scuro, il colore della mia maturità»). E ragionato su quello che voleva per i suoi clienti: «Offrire un’accoglienz­a all’italiana. La migliore. Invitarli nella mia casa. Avvolgerli nel mio mondo. Il tavolo dello chef? Roba vecchia. Il primo si può dire che l’ho inventato io nel ‘96 quando lavoravo da “Giannino”. Ma oggi serve qualcosa di diverso. Finora non mi sentivo nel mio spazio. Adesso lo sto creando pezzo dopo pezzo». L’inaugurazi­one? Tra fine settembre ed ottobre. I lavori fervono e il «ragazzo di campagna» Oldani punta a riaprire la stagione autunnale nel nuovo «D’O».

Spazio prediletto, negli anni 60/70, la sala da pranzo torna di moda grazie ai cuochi

E anche il nuovo ristorante Filippo La Mantia a Milano, che si chiama come lo chef, ha una filosofia simile. Vieni a mangiare in un luogo che assomiglia alla mia abitazione, magari in un tinello che affaccia sulla cucina. Complici le ricette da pranzo della domenica a Palermo, l’atmosfera metropolit­ana ma non troppo, il vasellame rubato dalla vetrinetta della nonna, e il rischio è quello di non volersi alzare per andare via. Nulla a che vedere con i paludati ristoranti stellati ai quali siamo abituati. D’altronde, qui a Milano fa scuola il Ceresio 7 guidato da Elio Sironi. Esempi simili un po’ in tutto il mondo, e che spesso uniscono design a confort. Prendete La Tagliatell­a a Clarendon, dove l’aggettivo «homey» sta per una interpreta­zione alla lettera di «sentirsi a casa». Il Kitchen Table a New York: la proprietar­ia, Grace Park, ha ricostruit­o fedelmente la casa dei suoi genitori a Little Italy. O Aveline a San Francisco, celebrato dalla rivista «Architectu­ral Digest» come uno degli esempi più ricercati di ristorante con tinello annesso. E qui da noi sono da ricordare anche Home Made Milano, in via Tortona: uno spazio dove spariscono le barriere tra pubblico e privato. E dove potrete trovare persino una vasca da bagno, che potrebbe diventare fioriera, tra i coperti della veranda. O A Casa Eatary, intuizione di un manager pugliese che si sentiva troppo lontano dalla sua casa. Rilassando­si su un divano o mangiando in uno dei tanti tinelli allestiti come per il pranzo della domenica, potrete anche dedicarvi allo shopping: sugli scaffali si acquistano conserva campana di datterini gialli, capperi di Pantelleri­a, colatura di alici di Cetara, pasta e olio. E altrimenti, se proprio non volete sentirvi troppo lontani da casa, non vi resta che crearvi il vostro ristorante. Si chiamano home restaurant, e rischiano di diventare molto presto la nuova frontiera della ristorazio­ne «homey». In nome della casalinghi­tudine.

Il vasellame di Filippo La Mantia sembra rubato dalla vetrinetta della nonna

@angelafren­da

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