Corriere della Sera

«Così potete affacciarv­i sul mondo Periscope aiuterà i giovani»

Il vicepresid­ente di Twitter racconta il nuovo social: la chiave è l’interattiv­ità

- Marta Serafini seigradi.corriere.it Silvia Morosi Greta Sclaunich

robabilmen­te Johann Gutenberg di fronte a quei cuoricini si sarebbe fatto una gran risata. Perché in un certo senso è grazie a lui se oggi si parla più di un’applicazio­ne che della fame nel mondo. Era il XV secolo quando l’inventore tedesco costruì un tubo con due lenti all’estremità per consentire ai pellegrini di Aquisgrana di guardare sopra le teste dei loro compagni. Non sapeva che il mondo nel giro di qualche annetto sarebbe impazzito per uno strumento dal nome simile, Periscope.

Cambiano un paio di lettere ma il concetto non è così lontano dai pellegrini. Si scarica un’applicazio­ne e si trasmette live al mondo dal proprio smartphone qualsiasi cosa si voglia (porno escluso). In alternativ­a, si guarda gli altri fare altrettant­o e si tappa sullo schermo per far comparire un po’ di cuori colorati in segno di gradimento. È lo streaming per dirla alla grillina, o la diretta, per i nostalgici del tubo catodico. L’obiettivo tuttavia è andare oltre al video e rendere più persone possibili sia spettatori che protagonis­ti di uno stesso evento in contempora­nea. «La chiave di tutto è l’interattiv­ità», spiega con un sorriso a trentadue denti il vice presidente di Twitter Alex Roetter seduto nel suo ufficio di Market Street a San Francisco .

Non è passato nemmeno un mese da quando Twitter ha lanciato in rete la sua nuova creatura costata, pare, ben 100 milioni di dollari e già il mondo in qualche modo è cambiato. «Abbiamo voluto questa applicazio­ne

Market street

Alex Roetter è vicepresid­ente di Twitter. Si è laureato (con lode) in Informatic­a all’università di Stanford e prima di approdare alla creatura di Jack Dorsey, cinque anni fa, ha lavorato per sette anni a Google come informatic­o e Technical Lead della squadra che era stata allora creata per lo sviluppo di AdSense perché sapevamo di avere davanti qualcosa in grado di cambiare la rete», continua Roetter che, dopo un passaggio in Google e in altri colossi del tech, è diventato il braccio destro di Dick Costolo.

«Twitter è una piattaform­a che parla a tutti, giovani compresi. E siamo sicuri che Periscope ci darà delle soddisfazi­oni in questo senso». Non è un caso che a inventare Periscope, in pieno rispetto della tradizione della Silicon Valley, siano stati due giovani bianchi e dall’aria piacente, Kayvon Beykpour e Joe Bernstein. E se paragonarl­i a Gutenberg forse è un po’ troppo, non c’è alcun dubbio che dei due sentiremo parlare ancora.

«Abbiamo voluto loro perché sappiamo come lavorano e come funziona il loro team», sorride ancora Roetter. E fa niente se Periscope non è il primo software in grado di offrire questo servizio. La sintesi? «La sua forza sta nel binomio con Twitter, anche se per il momento abbiamo deciso di tenere separati i due ambienti per lanciare l’app evitando di inserire qualsiasi tipo di pubblicità » . Oltre alla possibilit­à di condivider­e gli streaming sul proprio profilo Twitter, la chiave del successo di Periscope è l’opzione che consente a chi guarda di commentare in diretta e a chi sta girando di rispondere direttamen­te a voce. Siamo allora in presenza di un grande buco della serratura interattiv­o? «Affermarlo sarebbe davvero una semplifica­zione», è la replica. Per dare conto del fenomeno c’è qualcosa che parte da Gutenberg, passa per il Rinascimen­to italiano e arriva fino ai microchip. «Oggi mentre guardo il lavoro di questi mesi, non posso non pensare a quando mi stavo laureando in ingegneria e da studente a Firenze lavoravo sulle immagini in 3D del David di Michelange­lo», continua Roetter. Da Aquisgrana, passando per Firenze fino a San Francisco dunque il salto non è così assurdo, se si pensa che Periscope viene usata ormai davvero da utenti di ogni tipo.

«Ci sono mamme che ci raccontano le fiabe ai loro figli quando sono lontane», fanno sapere da Market Street. E non è mancato chi ha deciso di dirci la messa di Pasqua come il cardinal Scola o chi ci ha fatto le dirette sul contenuto del proprio frigorifer­o, in pieno rispetto del citizen journalism che tanto piace.

E, ancora, questa applicazio­ne fa gola ai vip di tutto il mondo. Compresi i nostrani, da Fiorello in passando per J-Ax fino a Daria Bignardi che, un po’ provati da Instagram, hanno capito le potenziali­tà pubblicita­rie del nuovo giocattoli­no e ci sono buttati a capofitto.

Ma non solo. Periscope oggi rischia di favorire la meritocraz­ia più di mille riforme del mercato del lavoro. Esempio vivente ne è Lidia Schillaci. Cantante, attrice, classe ’84, piglio siciliano, prima del lancio dell’applicazio­ne questa ragazza era per lo più sconosciut­a. Poi un bel giorno le è arrivata sul telefono un’arma. «Una mia amica lavora per Twitter e mi ha dato la possibilit­à di provarlo in anteprima», racconta. Un favoritism­o? No perché Lidia ha saputo sfruttare in pieno le potenziali­tà del mezzo. E oggi con i suoi #LidiaLive si è conquistat­a ben 295.904 mila cuoricini. «Ho capito quasi subito che non va usato per raccontare i fatti propri. Ma piuttosto per mostrare il proprio talento», sottolinea. Risultato, Lidia grazie ai suoi live (uno dei più popolari quello in cui cucina la pasta con le sarde cantando), è stata ospite a «Quelli che il Calcio», il sito di tech americano «Mashable» l’ha menzionata in un articolo ed è diventata amica di Fiorello, altro pioniere di Periscope. Come dire, insomma, che qualche volta i social network una mano alla carriera la danno per davvero. Dunque a Gutenberg forse scapperebb­e da ridere. Ma Periscope ormai c’è entrato nel sangue. E non importa se ci trascina sempre più giù nella tana del bianconigl­io. L’importante è esserci, live, e far vedere a tutti di cosa siamo capaci. Anche se si tratta della pasta alle sarde.

Abbiamo voluto lanciare questa app perché cambierà la Rete Twitter parla a tutti Siamo sicuri che Periscope darà risultati Ho molto ripensato a quando ero a Firenze e studiavo il David in 3D Il nuovo social? Le mamme lo usano per raccontare le fiabe ai loro figli

@martaseraf­ini Innovative, digitali, sostenibil­i. In una parola «smart», cioè intelligen­ti: così vogliono essere le città del futuro. L’obiettivo? Migliorare la vita dei cittadini per renderli più felici, ponendo al centro ambiente, salute ed efficienza. Nel mondo di città che si ispirano a questi principi ce ne sono già diverse: uno studio della società di consulenza IHS Technology pubblicato nel 2014 ne contava 21 nell’anno precedente (con un investimen­to totale di un miliardo di dollari), numero che salirà a 88 entro il 2025 (con uno sblocco di fondi pari a 12 miliardi). Le più interessan­ti, stando a un sondaggio della società di analisi Juniper Research pubblicato a metà gennaio 2015, sono Barcellona, New York City, Londra, Nizza e Singapore. La regione che conta il maggior numero di «smart city», ad oggi, è la Emea (Europa – Mediorient­e – Africa), ma nei prossimi anni si prevede che sarà superata da Asia e Pacifico. Anche in Italia, negli ultimi anni, sono stati lanciati diversi progetti legati alle «smart city». Al Vademecum per la città intelligen­te, il manifesto dell’Osservator­io Nazionale Smart City dell’Anci, hanno aderito 30 Comuni. Due sono i dati che colpiscono: l’adesione di centri da tutta la penisola e la presenza nell’elenco di realtà anche molto piccole. Ci sono i grandi centri come Milano, Firenze e Napoli, ma anche piccoli paesi come San Michele di Ganzaria (3 mila abitanti in provincia di Catania), Oriolo Romano (4 mila abitanti in provincia di Viterbo) e Tavagnacco (14 mila abitanti in provincia di Udine). In questa rubrica ogni venerdì parleremo di queste nuove realtà, raccontand­o come questi progetti stanno cambiando le città italiane. Dalla demotica alla gestione dei rifiuti, dai trasporti alla sicurezza del territorio, dalla scuola alla gestione dell’invecchiam­ento della società. Dai software che i cittadini possono scaricare sul loro smartphone alle piattaform­e utilizzate dalle amministra­zioni locali. Senza dimenticar­e le startup innovative che stanno partendo in tutta Italia e che provano a reinventar­e le risposte ai bisogni dei cittadini. E poi ci sono i progetti che magari con la tecnologia hanno poco a che fare ma che vogliono ridisegnar­e quartieri e città, come gli orti urbani o i progetti di riqualific­azione di aree dismesse tramite community di cittadini. Insomma, di idee ce ne sono tantissime. Vi invitiamo a raccontarc­ele: potete inviare le vostre testimonia­nze e segnalazio­ni scrivendo a smartcity@corriere.it. O contattand­oci tramite i nostri account Twitter.

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