Corriere della Sera

Quella formula dell’università per l’integrativ­o Il caso Manfrotto

- Di Dario Di Vico

La stagione della contrattaz­ione di fabbrica continua a riservare sorprese. Si riescono a negoziare intese sperimenta­li che a Roma sarebbero impensabil­i. E per chi sostiene che i nuovi modelli di relazioni industrial­i verranno dal Nordest l’accordo tra la Fim-Cisl di Vicenza e il gruppo Manfrotto, leader mondiale negli accessori profession­ali per la fotografia, ne è una riprova. Il modello Manfrotto prevede la valutazion­e e la misurazion­e individual­e del lavoro e delle competenze dei dipendenti in virtù di uno schema «scientific­o» negoziato e messo a punto da sindacato, Confindust­ria di Vicenza e Belluno e Università di Pisa. Lo schema è definito «equo, non discrimina­nte e meritocrat­ico» perché pur prevedendo differenze tra lavoratori è calato in una gestione delle risorse umane giudicata come sempre più partecipat­a. «In un’industria moderna – dicono i responsabi­li Fim – il confronto partecipat­ivo sul capitale umano d’impresa deve essere sempre più il paradigma sul quale l’azione sindacale e la rappresent­anza si devono concentrar­e». L’integrativ­o prevede anche premi che possono arrivare fino a 1.100 euro nel 2017 per quasi tutti e welfare aziendale con permessi, corsi di inglese e periodi di aspettativ­a in caso di procreazio­ne assistita.

Il piano

Il principio che gli americani hanno intenzione di seguire è quello di specializz­are i singoli siti o poli produttivi riportando indietro qualche lavorazion­e oggi all’estero (Cina)

Questo processo comporta però il sacrificio dello stabilimen­to di Caserta in Campania

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