Giudizi lusinghieri: nuove strade per il nostro cinema
Con l’orgoglio compiaciuto di chi guida il più importante festival del mondo, il delegato generale (leggi: direttore) Thierry Frémaux ha reso pubblici ieri i film che concorreranno alla 68esima edizione di Cannes. Come si diceva nei corridoi, Nanni Moretti ( Mia madre), Matteo Garrone ( Il racconto dei racconti) e Paolo Sorrentino ( Youth - La giovinezza) gareggeranno tutti e tre per la Palma d’oro. Non succedeva dal 1994, senza contare Roberto Minervini, con il suo documentario The Other Side, in concorso nell’altra selezione ufficiale, quella di Un Certain Regard. Un bilancio francamente lusinghiero per il nostro cinema, che all’estero sembra capace di mostrare una faccia che non sempre trova riscontro in patria nel complesso della produzione. Se ne devono essere accorti anche i tre registi in concorso, che hanno diffuso un insolito comunicato congiunto dove si augurano che il loro esempio aiuti altri registi a cercare «strade meno ovvie e convenzionali». Strade che gli altri film selezionati dovrebbero aver scelto tutti, sempre a sentire le parole flautate di Frémaux, paladino dichiarato del cinema d’autore, compiaciuto che il «suo» festival sia letto come «il riflesso delle preoccupazioni degli autori». Una convinzione che, a essere oggettivi, non tutta la stampa specializzata francese sembra condividere, vista la gara a ricordare i titoli che loro si aspettavano di vedere in concorso e invece non sono stati selezionati: le sei ore del portoghese Miguel Gomes, la Palma d’oro del 2010 Apichatpong Weerasethekul, l’americano Jeff Nichols, lo spagnolo Pedro Almodóvar e soprattutto il beniamino di casa Arnaud Desplechin. Ma se il direttore ha detto che in concorso potrebbero arrivare altri «tre o quattro titoli» aggiunti all’ultimo minuto, bisogna dire che nel suo insieme la selezione di quest’anno sembra decisamente buona e soprattutto non presenta «i soliti nomi noti»: quattro francesi (più, fuori concorso, il film d’apertura: La Tête haute di Emmanuelle Bercot) e cioè Deephan di Jacques Audiard, La Loi du marché di Stéphane Brizé, Marguerite et Julien di Valérie Donzelli (da un soggetto di Jean Gruault pensato per Truffaut) e Mon Roi di Maïwenn. Due americani: Todd Haynes con Carol (storia di un amore lesbico negli anni Cinquanta) e Gus Van Sant con The Sea of Trees (nome di una foresta giapponese dove Matthew McConaughey vuole suicidarsi). Tre maestri orientali: Hou Hsiao Hsien con il film di arti marziali The Assassin, Jia Zhang-Ke con Mountains May Depart e Hirokazu Kore-Eda con La nostra piccola sorella. L’Inghilterra presenta un nuovo Macbeth con Fassbender e Marion Cotillard, a cui si uniscono un esordio ungherese, un film norvegese, uno greco e uno american-messicano. Fin qui, sedici film dove ai «valori sicuri», Frémaux ha voluto aggiungere qualche « scommessa» (come le due registe francesi in concorso). Oltre a Woody Allen e il nuovo Mad Max fuori concorso. Difficile lamentarsi.