Il viaggio cromatico dell’astratto nella Lombardia del «saper fare»
e Rosita Missoni, a suo modo, è stato coltivato da un connubio simile. Siamo nella Lombardia tra le due guerre. Tra Milano e Como, favorita anche dall’industria tessile e dall’attività edilizia (con le decorazioni dei palazzi), si rafferma una tradizione astratta che parte dai germogli degli anni precedenti (le saette di Balla, gli scatti cromatici di Prampolini, le invenzioni di Depero, per non parlare della precisione disordinata di Bruno Munari, tutti nomi in mostra) e che prosegue in stretta armonia con le ricerche architettoniche dei razionalisti come Terragni, Cattaneo o Lingeri a Como. Spazio e materia, linee e colore. Aldo Galli, Atanasio Soldati, Mario Radice. La base fondante della ricerca astratta. Poi, le righe.
Perché è proprio in questa Lombardia fertile e industriosa che Missoni cominciò a fare le sue righe («Conquistammo una certa popolarità grazie a quelle. La verità è che avevamo delle macchine che potevano fare solo righe»). Certamente fu influenzato, come dimostra la rassegna al Ma* Ga, dalle avanguardie del secondo Dopoguerra, ma non si trattò di semplice imitazione. Era un «sentire» che partiva dall’eco del Bauhaus, (cultura e pragmatismo), dalle riflessioni sull’arte polimaterica della fine Danza di sfumature Atanasio Soldati (1896-1953), «Incompiuta», l’ultima opera del maestro, nel 1953 Linee in verticale Installazione «Tra le righe» (progetto di Luca Missoni e Angelo Jelmini) degli anni Cinquanta (sacchi, vernici e legni uniti da Burri), dalla strettissima commistione tra estetica e moda che iniziò presto — oltre ai lavori di Sonia Delaunay, frequentata dai due stilisti, c’erano state le riflessioni di Marie Laurencin, per non parlare di Mondrian, che definiva la moda come «una delle più dirette espressioni plastiche della cultura umana».
Il colore, nell’avventura astratta italiana, andò dunque di pari passo con la geometria, con le linee architettoniche concepite negli anni Trenta. E, di conseguenza, le campiture di Missoni sono anche figlie delle linee dense del comasco Manlio Rho, delle meravigliose forme volanti di Osvaldo Licini, dei cupi paesaggi impossibili di Vedova. E di quella Gallarate che, in quel secondo Dopoguerra, univa l’economia ad una visionarietà allargata: sono gli stessi anni in cui in città viene fondato il Premio Nazionale Arti Visive città di Gallarate, nel 1949, primo seme di un profondo rinnovamento che condurrà nel 1966 alla Civica Galleria d’Arte Moderna — quindi, in seguito, ecco il Ma*Ga.
Ricordava Ottavio Missoni: «Pensa solo a quanto vaste sono le possibilità offerte dal colore. Uno dice “giallo”. Ma devi considerare quanti ne esistono, all’infinità di gradazioni possibili...». Questo incessante scavo cromatico è stato un approdo dell’estetica del Novecento. Nella moda, sì.