Corriere della Sera

Tecnica e pretattich­e Il pressing su Marquez di Rossi e Dovizioso

- DAL NOSTRO INVIATO Alessandro Pasini

Il duecontro-uno della MotoGp riparte dall’Argentina, terre estreme del Norte a 1.100 chilometri da Buenos Aires, tra acque termali e sgarrupate­zze da Italia del dopoguerra. In un angolo i signori dello show, Rossi e Dovizioso, i cavalieri caldi che con i loro duelli hanno fatto finora le cose più belle del campionato. Nell’altro angolo Marc Marquez, che dopo l’inciampo del Qatar ha rimesso tutti in fila in Texas e vorrebbe il bis per cominciare la parte europea del Mondiale, a Jerez, primo in classifica.

Il favorito, si capisce, è sempre lui, perché qui ha dominato nel 2014 e perché, più ancora che la gara, il mostruoso giro da pole a Austin ha parlato chiaro: può un pilota in difficoltà realizzare un simile capolavoro?

La potenza di fuoco di Marquez non è una novità, ciò che cambia è il quadro in cui inserirla. Lui stesso dice che «non è più il 2014 (10 vittorie su 10 iniziali, ndr). Ora è più difficile, serve pazienza». E sia Rossi sia Dovizioso, forti dei loro 13 punti in più rispetto a un anno fa, condividon­o.

Il leader del Mondiale, reduce da una sosta al Ranch dell’amico ed ex compagno Colin Edwards vicino a Houston, racconta di essere «in un buon periodo, la M1 è migliorata e questa pista per la Yamaha è molto migliore di quella di Austin. Mi piacerebbe arrivare a Jerez davanti a Dovizioso e vicino a Marquez». Il ducatista confessa di essere «carico, qui c’è sostanza, tutto è sotto controllo, siamo sereni. E mi fa molto piacere questo nuovo interesse per me e per la Ducati. Dopo tanti anni sento di meritarmel­o: è il riconoscim­ento del mio lavoro e dello spettacolo che faccio con Rossi».

Segni di fiducia. Come se Marquez, benché sempre il migliore, fosse un po’ più vicino, forse attaccabil­e, comunque più sotto pressione e dunque più esposto a errori che nel 2014, con quell’enorme margine di vantaggio che aveva, riusciva a evitare più facilmente. Velocità Valentino Rossi, 36 anni, leader del MotoGp e le Ducati a Austin (GettyImage­s) Si tratterà di capire, tuttavia, a chi giova davvero questa pista nuova, varia, tecnica e veloce ( la seconda dopo Phillip Island) che il suo progettist­a, l’italiano Jarno Zaffelli, ha disegnato molto larga con l’obiettivo di sfidare i piloti a indovinare la traiettori­a migliore.

Asfalto ingannevol­e che al suo primo utilizzo dodici mesi fa non ha fregato né Marquez né le Honda (Pedrosa secondo), che hanno lasciato alla Yamaha solo briciole (Lorenzo terzo, Rossi quarto). Eppure, dice Marquez, «secondo me questo è un circuito per la Yamaha, è fluido e non ha frenate forti...».

Chi sarà dunque il più furbo tra pretattich­e e interpreta­zioni tecniche? Magari una delle due alternativ­e ai tre boss. La prima è Andrea Iannone, il cui quinto posto in Texas non deve fuorviare: il ducatista ha corso comunque molto bene. La seconda è Jorge Lorenzo, già a meno 15 punti dalla vetta. Lui si consola pensando che l’anno scorso a quest’epoca era a meno 36 e che queste prime due gare le ha sbagliate per un guaio al casco e per i postumi della bronchite. Da sano, garantisce Por Fuera, è almeno da podio. Meglio così. Perché un Mondiale a cinque è più divertente di un Mondiale a tre.

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