Corriere della Sera

Le ambiguità di quel colloquio

Tutti i misteri del colloquio a due nello Studio Ovale

- Di Fiorenza Sarzanini

Ci sono due punti oscuri nella versione dell’Italia sull’uccisione di Lo Porto. Perché Obama non ha avvertito Renzi? E, se lo ha fatto, come mai il nostro governo l’ha negato al Parlamento?

Ci sono almeno due punti oscuri nella versione ufficiale fornita dal governo italiano sull’uccisione di Giovanni Lo Porto, il cooperante italiano rapito nel gennaio 2012 a Multan, al confine tra Pakistan e Afghanista­n. Due interrogat­ivi che il Parlamento rivolgerà al sottosegre­tario con delega ai servizi segreti Marco Minniti, convocato davanti al comitato di controllo per martedì.

Perché vanno chiariti i reali rapporti del nostro Paese con gli Stati Uniti, soprattutt­o bisogna capire come mai, mentre l’Italia si impegnava — nei colloqui ufficiali avvenuti la scorsa settimana a Washington — a rimanere al fianco dell’alleato in Afghanista­n, il presidente Barack Obama non abbia ritenuto di dover condivider­e con il presidente del Consiglio Matteo Renzi ogni passaggio di quanto stava accadendo. E se invece l’ha fatto, si deve comprender­e come mai il premier e il titolare della Farnesina Paolo Gentiloni abbiano deciso di negarlo.

Si torna dunque a ieri mattina quando — prima della relazione del ministro degli Esteri alla Camera — circola l’indiscrezi­one secondo la quale nel corso dell’incontro avvenuto il 17 aprile scorso nello studio Ovale della Casa Bianca, Obama abbia anticipato a Matteo Renzi la possibilit­à che un ostaggio italiano fosse rimasto ucciso nei raid.

Circostanz­a ufficialme­nte negata, ma rilanciata dopo la dichiarazi­one rilasciata ieri sera dal premier italiano alla trasmissio­ne de La7, Ottoemezzo: «La certezza che i due corpi fossero quelli dei due cooperanti noi l’abbiamo avuta mercoledì e credo che anche gli americani l’abbiano saputo mercoledì». «Certezza», dunque conferma a un sospetto già noto.

Ma perché negarlo? Il fatto che la morte risalga al gennaio scorso sta creando non pochi imbarazzi. Perché comunque nulla risulta essere stato detto prima del 17 aprile, eppure è accertato come da settimane gli Stati Uniti si stessero occupando della vicenda ed è fin troppo evidente che abbiano deciso di non affrontarl­a con l’Italia.

Eppure sono state compiute numerose verifiche, addirittur­a è stato effettuato un esame comparativ­o del Dna per accertare che si trattasse proprio di Giovanni Lo Porto. Ma anche su questo si sarebbe deciso di mantenere il segreto. E allora chi ha fornito ai servizi segreti statuniten­si il reperto per effettuare la comparazio­ne sul codice genetico? Possibile che nessuno nel nostro Paese ne sapesse nulla?

E qui si arriva al secondo punto. Gli 007 italiani erano stati informati che Lo Porto poteva essere tenuto prigionier­o insieme a Warren Weinstein, l’anziano americano rapito successiva­mente? La collaboraz­ione tra i servizi di intelligen­ce ha previsto uno scambio informativ­o sugli ostaggi oppure, come spesso avviene in questi casi, gli Stati Uniti si sono mossi in totale autonomia, addirittur­a celando ai nostri 007 notizie preziose?

Le ultime informazio­ni fornite dai vertici dell’Aise al Copasir su Lo Porto risalgono al dicembre scorso. Gli 007 avevano assicurato di aver ricevuto la conferma che era ancora vivo, pur non potendo fornire notizie ulteriori sulle sue condizioni di salute. Del resto già agli inizi del 2014, quando erano stati recapitati a distanza di poche settimane due video, compariva molto provato.

Fino ad allora gli agenti segreti si erano mossi in collaboraz­ione con i colleghi tedeschi. Tutto era però cambiato il 10 ottobre scorso quando il collega Bernd Muehlenbec­k era stato liberato. Mentre Giovanni Lo Porto è stato probabilme­nte ceduto a un nuovo gruppo terrorista e poi ucciso nel raid statuniten­se.

In Parlamento Il sottosegre­tario Minniti convocato per martedì davanti al comitato di controllo

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