L’ipotesi di un attacco al Vaticano
In Sardegna una rete vicina ad Al Qaeda, blitz della polizia in tutta Italia Ventidue richieste d’arresto. I pm: sono le menti della strage a Peshawar
«È importante eliminare il loro capo. Ci sono tanti soldi sul loro papa (o baba), stiamo facendo una grande jihad contro di lui».
Era il 2010 quando dal Pakistan un talebano chiese notizie all’imam Hafiz Zulkifal, sul progetto di un attentato. Ieri l’imam di Bergamo e Brescia è stato arrestato, assieme ad altri nove islamici (dodici sono ancora ricercati, tre in Italia), con l’accusa di aver tirato le fila di un’organizzazione terroristica affiliata ad Al Qaeda, che oltre a raccogliere fondi per la jihad e fare traffico di armi e di immigrati, preparava attentati in Italia e aveva un kamikaze pronto ad agire. Con un probabile obiettivo: il Papa, che all’epoca era Ratzinger.
«Non c’è la prova, c’è il forte sospetto», ha specificato il procuratore di Cagliari, Mauro Mura. «Non vi sono elementi sufficienti univoci per trarre la conclusione» che si alluda al Pontefice, scrivono gli stessi investigatori. Il piano sarebbe saltato per le perquisizioni, scattate dopo i colloqui intercettati, uno a pochi metri da San Pietro. E il kamikaze, già sbarcato all’aeroporto di Roma, venne fermato.
Padre Federico Lombardi, portavoce del Vaticano, ha minimizzato: «L’ipotesi di attentato risale al 2010 e non ha avuto alcun seguito». E ha aggiunto: «Non è un fatto che desti particolari preoccupazioni».
«Il livello di allerta è massimo perché come ovvio che sia, l’Italia, come tutti i Paesi occidentali, deve stare attenta e gli arresti di oggi sono un fatto positivo » , ha detto il premier Matteo Renzi, a Otto e mezzo.
Soddisfatto della «straordinaria operazione» anche il ministro dell’Interno, Angelino Alfano.
Furono i cani antiesplosivo a far partire questa indagine nel 2005, fiutando l’esplosivo in un camion in partenza per Civitavecchia dal porto di Olbia. Secondo la procura di Cagliari, era lì la base operativa, che ha visto anche gli autori della strage nel mercato di Peshawar del 28 ottobre 2009 in cui morirono oltre 100 persone. Per gli investigatori, due membri dell’organizzazione hanno fatto parte della rete di fiancheggiatori che in Pakistan proteggevano Osama Bin Laden.
Presunto leader dell’organizzazione di pakistani e afghani era l’imam di Bergamo Zulkifal, del movimento pietistico Tabligh Eddawa (Società della Propaganda). Era lui a sollecitare la raccolta di fondi presso le comunità pakistano-afghane in Italia. Il denaro veniva portato in patria su voli di linea Fiumicino-Islamabad oppure trasferito con il sistema o «hawala». La rimessa viene ritirata, tramite un codice identificativo segreto dall’«hawaladar» della sede di destinazione. Secondo gli investigatori servivano a finanziare attentati in Pakistan.
I reati, contestati a vario titolo, vanno dalla strage al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina che veniva usata come fonte di finanziamento. Alcuni degli stessi arrestati erano entrati illegalmente e avevano ottenuto lo status di rifugiato sostenendo di essere perseguitati dai talebani, a cui invece erano contigui.