Parolin: noi esposti, ma il Papa è sereno Viaggerà in Africa dove ci sono i conflitti
Il Segretario di Stato: «Serve dialogo non muri, per questo ha chiesto di fermare il Califfato»
«Noi siamo esposti a questa realtà come tutti. In Francia, ho visto, c’era questo giovanotto che mirava alle chiese. Tutti hanno paura. Ma il Papa su questo punto è molto tranquillo, vede come incontra le persone, si muove con molta libertà e affronta queste situazioni con molta lucidità e serenità».
Anche il cardinale Pietro Parolin mostra una serenità olimpica mentre gli si chiede delle minacce al Vaticano, fuori dall’aula magna della Facoltà teologica del Triveneto. Il Segretario di Stato vaticano ha appena dedicato la sua lectio alla visione di un «mondo aperto» in Francesco, al «soft-power della Santa Sede» distinto da quello «hard» degli Stati — non armi o potere economico, ma lo «strumento della misericordia» — in un pianeta «multipolare» fatto di «relazioni e dialogo».
Ha spiegato che «dobbiamo insistere sul dialogo» per isolare il «grave pericolo» del fondamentalismo, ponti e non muri: una «condizione di pace e rispetto della vita» è essenziale per «garantire la convivenza», ed è questo che «ha indotto il Papa a chiedere fosse fermata l’avanzata del cosiddetto Califfato in Siria».
Soprattutto, in tema di accoglienza ai migranti, Parolin fa notare che «c’è tanta paura, ma la paura è sempre una cattiva consigliera » , anche perché «no, non si può essere un buon cristiano se c’è una chiusura totale».
Così il cardinale non si scompone a sentire dell’indagine. Certo «bisogna stare attenti: senza parlare di piani, ci può sempre essere qualcuno che pensa a cose del genere».
Parolin pensa ai fedeli: «Il timore più grande, se dovesse succedere qualcosa, è che possano essere coinvolte persone innocenti». Però «non mi sembra di percepire in Vaticano una preoccupazione esagerata», chiarisce: «Anche da un punto di vista di sicurezza ci sono delle garanzie, tutte le strutture che se ne occupano sono attente, non mi pare ci sia assolutamente un allarme».
Francesco va avanti. «Dopo l’Asia, il Papa vuole dedicare grande attenzione all’Africa: ancora si sta elaborando il programma, ma guarda soprattutto ai Paesi in situazioni di conflitto e difficoltà, la scelta sarà in quella prospettiva».
Lo stesso Bergoglio ha parlato dell’ «ipotesi» di una visita «a fine anno» nella Repubblica Centroafricana e in Uganda. Possono sempre esserci variazioni, com’è capitato con la «tappa» a Cuba in settembre prima di atterrare negli Stati Uniti. Vicenda esemplare del «potere gentile» della Santa Sede: « Il Papa incoraggia il processo di avvicinamento, dice di non avere paura dei cambiamenti».
Lo stesso vale per la scelta di nominare il «genocidio» armeno, considera Parolin: «Ha parlato in termini di riconciliazione: non per suscitare più animosità ma per trovare un’interpretazione comune della storia, avvicinarsi e capirsi».
Il cardinale «L’unico timore è che un attentato possa coinvolgere altre persone»