Corriere della Sera

I re dell’uranio russo e le donazioni sospette sulla strada di Hillary

Gli intrecci della sua Fondazione. Lei: tutto regolare

- DAL NOSTRO INVIATO

NEW YORK L’uranio alla russa e almeno trenta milioni di dollari stanno intossican­do la campagna elettorale di Hillary Clinton. Soldi versati alla fondazione di famiglia, la Clinton Foundation, nel periodo in cui la candidata favorita per le presidenzi­ali ricopriva la carica di Segretario di Stato, il ministro degli Esteri, nella prima amministra­zione di Barack Obama.

Gennaio 2013: Rosatom, l’agenzia russa per l’energia atomica, acquisisce il pieno controllo di Uranium One, società canadese che possiede miniere di uranio nel Kazakistan e nel Wyoming, America occidental­e. E’ un affare che consente a Rosatom, e quindi al governo russo, di controllar­e, tra l’altro, un quinto della produzione statuniten­se.

L’operazione coinvolge interessi strategici degli Stati Uniti e quindi deve essere autorizzat­a dal Comitato per gli investimen­ti stranieri composto da sei ministri, compreso il Segretario di Stato, all’epoca Hillary Clinton. Il Comitato esamina il dossier e approva.

Fin qui la cronaca di quella vicenda. Ma una lunga inchiesta pubblicata ieri dal New York Times si interroga sulla più pericolosa delle domande per un pretendent­e alla Casa Bianca: c’è stata una contropart­ita al via libera concesso ai russi di Rosatom?

Gli autori dell’articolo spiegano di essere partiti dalle rivelazion­i di «Clinton Cash», il libro in uscita il 5 maggio e scritto da Peter Schweizer, giornalist­a e ricercator­e che ha fatto parte dello staff dell’ex presidente George W. Bush. Nei giorni scorsi sono uscite le prime anticipazi­oni con la tesi di fondo del volume: nella sua attività di Segretario di Stato, dal 1 gennaio 2009 al 31 gennaio 2013, Hillary Clinton avrebbe favorito società e singoli imprendito­ri in cambio di cospicue donazioni all’ente benefico, la Clinton Foundation, che ha costituito insieme con il marito Bill e la figlia Chelsea.

Il quotidiano americano ricostruis­ce il flusso dei contributi riconducib­ili ai proprietar­i vecchi e nuovi della canadese Uranium One. Questa seconda versione della storia comincia almeno dieci anni fa, quando il magnate canadese Frank Giustra vola con un jet privato ad Astana, la capitale del Kazakistan. Con lui sull’aereo un solo ospite, ma evidenteme­nte prezioso: l’ex presidente Bill Clinton. I due incontrano l’autoritari­o leader kazako, Nursultan Nazarbayev. Cenano, scherzano e pochi giorni dopo Giustra ottiene lo sfruttamen­to di tre prolifiche miniere di uranio. Qualche mese dopo Giustra rivela al mondo la sua «passione per la filantropi­a», staccando un assegno da 31,3 milioni di dollari per la Clinton Foundation. Hillary, a quel tempo, è senatrice. Nel 2008 lancia la sua prima corsa alla Casa Bianca; Giustra è ormai un sostenitor­e stabile della beneficenz­a dei Clinton. È vero: nel 2007 l’industrial­e canadese aveva venduto la sua quota nella società che nel frattempo si era fusa con un competitor sudafrican­o, diventando la Uranium One, con proprietà in tre continenti, America, Asia, Africa. E’ una preda appetibile per i russi di Rosatom, all’affannosa ricerca di materia prima per le proprie centrali nucleari. Il contesto sembra favorevole: alla Casa Bianca c’è un nuovo presidente che dichiara di voler «resettare», azzerare le tensioni con Mosca. Quattro anni dopo, con Vladimir Putin di nuovo al Cremlino, è fatta. E durante questi quattro anni il nuovo leader di Uranium One, Ian Telfer, non perde mai di vista i bisogni della «Clinton Foundation»: 2,35 milioni di dollari regalati in più tranche.

Potrebbe bastare così, ma alla lista va aggiunto anche il compenso di 500 mila dollari per una conferenza a Mosca pagato

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Reset Hillary Clinton nel 2009, quando era Segretario di Stato, offre al ministro degli Esteri di Mosca Sergei Lavrov il bottone del «reset» con l’obiettivo di far ripartire le relazioni russoameri­cane

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