Mister Borsalino arrestato dopo il crac
Fermato in Svizzera l’imprenditore Marco Marenco patron dello storico marchio di cappelli: sarà estradato Latitante da mesi, avrebbe creato un «buco» di circa 4 miliardi dirottando i fondi su vari conti offshore
TORINO Il patron della più nota cappelleria del mondo, ora sull’orlo del fallimento, ha seguito i poliziotti cantonali svizzeri apparentemente senza tradire emozioni. «Ha soltanto chiesto di contattare i suoi legali» hanno riferito le autorità elvetiche .
Fine di una fuga e di una storia complicata. Marco Marenco, 59 anni, è stato arrestato ieri a Lugano. Ufficialmente era latitante dallo scorso mese di luglio, inseguito da un mandato di cattura internazionale e dalle accuse per evasione fiscale e per una maxi bancarotta da quasi quattro miliardi di euro, un «buco» secondo soltanto a quello di Parmalat. Anche se forse Marenco non si era mai davvero nascosto perché in questi mesi dalla Svizzera aveva continuato a seguire tutti i suoi affari: raccontano che facesse regolarmente la spola tra Lugano e la Guinea a bordo del suo aereo privato. Nei prossimi giorni sarà estradato in Italia dove le sue attività, compresa la cappelleria di Alessandria, hanno prodotto quel crac impressionante.
Astigiano doc, Marenco ci teneva alla storica cappelleria, ma i soldi li aveva fatti con ben altre attività. Colui che per un certo periodo è stato considerato dal mercato e dal mondo finanziario come un imprenditore illuminato, era a capo di una holding nel settore dell’energia. Negli ultimi anni avrebbe girato ingenti quantità di denaro delle sue aziende — circa un’ottantina — su conti offshore in alcuni paradisi fiscali. Dopo la firma dell’avviso di garanzia da parte del pubblico ministero di Asti, sei mesi fa, Marenco aveva lasciato l’Italia.
Le indagini giudiziarie e la procedura fallimentare della holding hanno fatto emergere scenari in cui si mescola un’evasione fiscale gigantesca a passivi devastanti. Nella relazione alla procura, i commissari fallimentari hanno denunciato l’esistenza di un giro vorticoso di partite infragruppo tale da rendere quasi impossibile la ricostruzione della reale consistenza dei conti delle aziende.
I principali creditori, Unicredit e Snam Rete Gas, che cedeva materia prima ad aziende del gruppo Marenco vantano crediti impressionanti.
Marenco, azionista di maggioranza di Borsalino — che già nel 2008 lo aveva esautorato dai poteri decisionali e che lo scorso ottobre lo ha messo in mora — da piccolo imprenditore che produce tubi in rame, era diventato uno dei principali operatori del mercato del gas. Alla fine degli anni 2000, però, qualcosa aveva iniziato a non funzionare: le sue società prelevavano dal sistema di stoccaggio strategico di gas, ma senza mai pagare le forniture se non ai russi.
Tra il 2012 e il 2013 i creditori avevano iniziato a premere, ottenendo il fallimento di alcune delle società del gruppo: si chiamano Speia, Finind, Baltea Energia, Service Srl, Camarfin, Camar, nomi che a molti non dicono granché ma che gestiscono una fetta rilevante del mercato italiano del gas.
L’inchiesta penale, però, era partita soltanto quando i funzionari dell’agenzia delle dogane di Alessandria, che hanno condotto l’inchiesta, avevano verificato bolle e fatture, incrociando i dati e ricostruendo il sistema di società che facevano trading di gas senza pagare le accise, società tutte riconducibili al patron della cappelleria di Alessandria.
Ora, l’epilogo. Marenco esce sconfitto e con le manette ai polsi. Centinaia di famiglie dei dipendenti delle sue aziende, sono senza un lavoro.