La partigiana Marisa: entrai con Vittorini e il «Corriere» ripartì
«La sera son tornata a casa, per andare a dormire, e ho visto che la gente aveva cominciato a ballare in cortile, a muoversi. A parlare ». Per la «Marisa» il 25 aprile 1945 era stato giorno di lavoro: la consegna delle autorizzazioni ai partigiani, perché potessero girare armati per la città e prima ancora, alle 8, la liberazione del Corriere, a Milano. «Entrai per prima, con Elio Vittorini, Alfonso Gatto, Antonio D’Ambrosio. C’era da far uscire il giornale il più in fretta possibile, da far capire che le cose erano cambiate». Anche permettendo che nella sede di via Solferino venissero stampati, oltre al Corriere, due fogli fino a quel giorno clandestini: l’Unità e l’Avanti!.
Claudia Ruggerini — la «Marisa» — aveva 23 anni, allora. Il suo antifascismo aveva il volto del padre, ferroviere socialista, picchiato a sangue da una squadraccia 11 anni prima, morto sotto i suoi occhi; l’anima di una ragazza assetata di cultura, studentessa prima di Chimica industriale, poi di Medicina; il cuore rivolto a un compagno di studi, Hans Preis, viennese di madre ebrea, fuggito dall’Austria dopo l’Anschluss. Hans fu arrestato e portato a San Vittore perché sospettato di essere un fiancheggiatore dei partigiani: Claudia lo andava a visitare ogni settimana, portando ai partigiani le notizie su chi era stato fatto prigioniero da tedeschi e repubblichini. Deportato a Mauthausen dopo un tentativo di fuga, Hans spedì a Claudia due telegrammi: nel secondo, del 14 maggio, le scrisse: «spero di ritornare presto. Finalmente siamo in libertà, la così a lungo desiderata libertà».
A Milano, «Marisa» distribuiva stampa clandestina, e portava notizie e armi in borse a doppiofondo in Val Nure e in Val D’Ossola. La paura, dice, era compagna fedele: «Era quella di essere seguiti, di fare un passo falso». Non lo fece. Nemmeno quando andò a riconoscere il cadavere di Eugenio Curiel, tra i fondatori del Fronte della Gioventù, ucciso il 24 febbraio ‘45 in piazza Conciliazione: riuscì a evitare i controlli fascisti, e a dire all’addetto alle celle frigorifere che la salma doveva essere conservata fino al giorno della Liberazione, «che non era lontana». Poco più di due mesi dopo furono celebrati i funerali, in una Milano liberata.
Ed è a quella parola che, anche oggi, la «Marisa» ritorna. Ripetendola, per evitare travisamenti. «La libertà non è liceità, non è licenza; ma inizia dalla libertà personale, si nutre di conoscenza, consapevolezza, rispetto degli altri, e diventa libertà collettiva». È quella che Claudia trovò il 25 aprile, prima di riposare. Quella dei vicini di casa, in via Padova, tornati a parlarsi.