Corriere della Sera

L’ENIGMA MACRON VISIONARIO O VELLEITARI­O

- Di Stefano Montefiori

Nella sinistra francese ancora stordita dalle sconfitte elettorali dell’ultimo anno, c’è qualcuno che sta raccoglien­do la sfida di andare oltre la gestione dell’esistente. Emmanuel Macron, ministro dell’Economia, non ha vita facile: l’ala sinistra del Ps lo accusa più o meno esplicitam­ente di essere un infiltrato degli odiati capitalist­i, un ex banchiere di Rothschild che, fosse per lui, avrebbe già abbattuto totem irrinuncia­bili come le «35 ore». Il ministro, in realtà, ha intanto lanciato una campagna di liberalizz­azioni per cominciare a intaccare vecchi privilegi e provare e ridare vitalità all’economia. Ma Macron ha il coraggio di inimicarsi anche il patron di Renault Carlos Ghosn, quando fa crescere lo Stato nel capitale del colosso automobili­stico per imporvi la regola del «voto doppio»: gli azionisti di lunga data (almeno due anni) devono contare di più degli speculator­i finanziari.

Ieri Macron ha spiegato la sua visione in una sorta di manifesto pubblicato da Le Monde, che comincia con la promettent­e frase «noi abbiamo i mezzi per plasmare un capitalism­o a immagine delle nostre ambizioni». Azionariat­o sempre più esteso, investitor­i istituzion­ali pronti a sostenere il rilancio industrial­e, progetti a lungo termine: «L’economia di mercato è un rapporto di forze sul quale siamo in grado di pesare», scrive Macron, né paleosocia­lista, né neoliberis­ta. In privato (per adesso), il 37enne ministro non rinuncia poi all’Europa, all’idea di rilanciarl­a a partire dal nucleo storico (Italia, Francia, Germania e Benelux) dando forma ufficiale e istituzion­ale al concetto di «due velocità». Lo accusano di essere velleitari­o, ma Macron almeno prova a dare alla sinistra francese, e non solo, un orizzonte ideale.

«Ambizione» è la parola chiave, per non lasciare la battaglia delle idee in mano alla sola Marine Le Pen.

@Stef_Montefiori Su Corriere.it Puoi condivider­e sui social network le analisi dei nostri editoriali­sti e commentato­ri: le trovi su www.corriere.it alle elezioni del 2013 in poi, nella politica italiana, in Parlamento come nei sondaggi, vige un sistema tripolare. Una novità che, dopo anni di retorica bipolare, ci ha trovati tutti abbondante­mente impreparat­i, vecchi e nuovi protagonis­ti del giuoco politico. I nuovi, cioè i grillini, non riescono a tradurre in incisività decisional­e il loro consenso elettorale; mentre i vecchi, cioè i partiti di governo e di opposizion­e, devono reagire con avventuros­i salti mortali (con patti nazarenici di faticosa gestione, «botte» di volontà maggiorita­ria e lotte di assetto interno). Ai tanti altri Paesi che si incamminan­o verso il tripolaris­mo potremmo insegnare che esso non è una ragionevol­e soluzione.

In attesa che al riguardo maturi qualche correzione, è urgente prendere atto di una novità più rude: il consolidar­si di un tripolaris­mo di fatto, dove il potere ondeggia fra tre sponde ambigue ma reali: quella presidiata dai protagonis­ti del contrasto alla corruzione, lavorino nelle Procure o in distacco altrove; quella della comunicazi­one

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