L’ENIGMA MACRON VISIONARIO O VELLEITARIO
Nella sinistra francese ancora stordita dalle sconfitte elettorali dell’ultimo anno, c’è qualcuno che sta raccogliendo la sfida di andare oltre la gestione dell’esistente. Emmanuel Macron, ministro dell’Economia, non ha vita facile: l’ala sinistra del Ps lo accusa più o meno esplicitamente di essere un infiltrato degli odiati capitalisti, un ex banchiere di Rothschild che, fosse per lui, avrebbe già abbattuto totem irrinunciabili come le «35 ore». Il ministro, in realtà, ha intanto lanciato una campagna di liberalizzazioni per cominciare a intaccare vecchi privilegi e provare e ridare vitalità all’economia. Ma Macron ha il coraggio di inimicarsi anche il patron di Renault Carlos Ghosn, quando fa crescere lo Stato nel capitale del colosso automobilistico per imporvi la regola del «voto doppio»: gli azionisti di lunga data (almeno due anni) devono contare di più degli speculatori finanziari.
Ieri Macron ha spiegato la sua visione in una sorta di manifesto pubblicato da Le Monde, che comincia con la promettente frase «noi abbiamo i mezzi per plasmare un capitalismo a immagine delle nostre ambizioni». Azionariato sempre più esteso, investitori istituzionali pronti a sostenere il rilancio industriale, progetti a lungo termine: «L’economia di mercato è un rapporto di forze sul quale siamo in grado di pesare», scrive Macron, né paleosocialista, né neoliberista. In privato (per adesso), il 37enne ministro non rinuncia poi all’Europa, all’idea di rilanciarla a partire dal nucleo storico (Italia, Francia, Germania e Benelux) dando forma ufficiale e istituzionale al concetto di «due velocità». Lo accusano di essere velleitario, ma Macron almeno prova a dare alla sinistra francese, e non solo, un orizzonte ideale.
«Ambizione» è la parola chiave, per non lasciare la battaglia delle idee in mano alla sola Marine Le Pen.
@Stef_Montefiori Su Corriere.it Puoi condividere sui social network le analisi dei nostri editorialisti e commentatori: le trovi su www.corriere.it alle elezioni del 2013 in poi, nella politica italiana, in Parlamento come nei sondaggi, vige un sistema tripolare. Una novità che, dopo anni di retorica bipolare, ci ha trovati tutti abbondantemente impreparati, vecchi e nuovi protagonisti del giuoco politico. I nuovi, cioè i grillini, non riescono a tradurre in incisività decisionale il loro consenso elettorale; mentre i vecchi, cioè i partiti di governo e di opposizione, devono reagire con avventurosi salti mortali (con patti nazarenici di faticosa gestione, «botte» di volontà maggioritaria e lotte di assetto interno). Ai tanti altri Paesi che si incamminano verso il tripolarismo potremmo insegnare che esso non è una ragionevole soluzione.
In attesa che al riguardo maturi qualche correzione, è urgente prendere atto di una novità più rude: il consolidarsi di un tripolarismo di fatto, dove il potere ondeggia fra tre sponde ambigue ma reali: quella presidiata dai protagonisti del contrasto alla corruzione, lavorino nelle Procure o in distacco altrove; quella della comunicazione