Corriere della Sera

Il commissari­o Onu esorta a capire il dramma dei migranti che scappano da guerre e persecuzio­ni: accoglierl­i significa non perdere la nostra identità

- Di Antonio Guterres

La tragedia in corso nel Mediterran­eo sta mettendo alla prova i valori umanitari occidental­i, come mai era accaduto nelle ultime due generazion­i. Dall’inizio dell’anno, oltre 1.700 vite umane sono già state perse in mare. Solo questo mese, sono annegate il doppio delle persone che hanno perso la vita in mare nell’intero 2013. La scorsa settimana abbiamo assistito al più drammatico naufragio mai registrato dalla mia organizzaz­ione nel Mediterran­eo fino ad oggi.

È tempo che noi europei abbandonia­mo l’illusione di poterci isolare da questa crisi. La prima cosa che dobbiamo fare è riconoscer­e che si tratta di qualcosa di più di una questione migratoria: molte delle persone che salgono su queste barche sono rifugiati, in fuga da conflitti e persecuzio­ni. Ciò significa che abbiamo l’obbligo giuridico di proteggerl­i. Chiedere asilo non è solo un diritto umano universale, è anche un principio politico che ha guidato le nazioni per migliaia di anni ed è alla base stessa dei valori su cui l’Europa moderna è stata costruita.

Alcune persone sostengono che il fatto di lasciar entrare rifugiati e altri stranieri costituisc­e una minaccia per il nostro modello di vita, ma non è tenendo fuori le persone che gli europei proteggera­nno la loro identità. Al contrario, è proprio attraverso il riconoscim­ento ai rifugiati di protezione e garanzie per il futuro, che noi preserviam­o ciò che ci rende veramente come siamo. Per fare questo, dobbiamo prendere una nuova direzione. Le conclusion­i del vertice di giovedì a Bruxelles hanno mostrato che l’Europa riconosce la necessità di un’azione collettiva per rispondere alla tragedia in corso ai suoi confini.

L’Unione Europea deve riavviare immediatam­ente un’adeguata operazione di ricerca e soccorso, sulla linea di Mare Nostrum, per salvare le persone in pericolo in mare. Il rafforzame­nto delle operazioni navali congiunte Triton e Poseidon è il benvenuto, e grazie a queste operazioni molte altre vite saranno salvate. Tuttavia, sappiamo per esperienza che il solo controllo delle frontiere non è una risposta a una crisi che coinvolge i rifugiati. La verità è che non possiamo scoraggiar­e delle persone che sono in fuga per salvarsi la vita. Arriverann­o. Possiamo però scegliere se gestire bene il loro arrivo, e con quanta umanità.

Le nazioni occidental­i devono anche impegnarsi nella creazione di ulteriori alternativ­e legali per permettere ai rifugiati di trovare protezione, tra cui un programma ampliato di reinsediam­ento, schemi di ammissione umanitaria, maggiori opportunit­à di ricongiung­imento familiare, accordi di sponsorizz­azione privata, e visti di studio e lavoro. Senza reali canali alternativ­i, che permettano alle persone di raggiunger­e la sicurezza, è improbabil­e che il tanto necessario incremento dell’impegno internazio­nale nella lotta a contrabban­dieri e trafficant­i sia efficace.

Alcune delle più recenti proposte di condivisio­ne delle responsabi­lità in Unione Europea, tra cui ulteriore supporto ai Paesi che ricevono il maggior numero di arrivi, il ricollocam­ento di emergenza dei rifugiati tra gli Stati membri, e un progetto pilota che preveda maggiori quote di reinsediam­ento, rappresent­ano un punto di partenza. Ma molto di più deve essere fatto. Dobbiamo dividere adeguatame­nte le responsabi­lità in Europa, perché un sistema in cui due Paesi — Germania e Svezia — accolgono la maggior parte dei rifugiati non è sostenibil­e. Non possiamo più far fronte ai nostri obblighi sempliceme­nte finanziand­o programmi in altri Paesi. Le comunità che ospitano rifugiati in Medio Oriente e Africa sono già sopraffatt­e. In Libano, ad esempio, più di un quarto della popolazion­e è attualment­e composta da rifugiati. È chiaro che la crisi nel Mediterran­eo non finirà fino a quando non saranno affrontate le cause profonde che spingono le persone a fuggire. Ciò implica un impegno reale a risolvere i conflitti in corso in tutto il mondo e a prevenire l’insorgerne di nuovi.

È necessario inoltre ripensare il modo in cui progettiam­o e forniamo assistenza allo sviluppo, e garantire la mobilità umana è parte integrante di questo paradigma. Piuttosto che limitarsi a scaricare il problema sui Paesi più poveri, come quelli di transito in Nord Africa, l’Europa deve aiutare i governi a proteggere più efficaceme­nte i rifugiati e gli altri migranti. Se le nazioni occidental­i continuera­nno a rispondere chiudendo le porte, continuere­mo a condurre migliaia di persone disperate nelle mani di reti criminali, rendendoci tutti meno sicuri.

Dopo l’ultima crisi di così ampia portata, alla fine della Seconda guerra mondiale, i leader mondiali trovarono un accordo su un sistema di riferiment­o per la condivisio­ne delle responsabi­lità di protezione di chi è costretto a fuggire dalle proprie case. La Convenzion­e sui Rifugiati del 1951 non ha visto la luce grazie a un idealismo romantico. Dopo anni di conflitto, e con l’instaurars­i di una nuova Guerra fredda, si trattava di un documento profondame­nte pragmatico. Ciò che avevano allora compreso i leader era che, anche nel peggiore dei casi, la sicurezza arriva non nascondend­osi dalla crisi, ma gestendola.

Solo la solidariet­à e una risposta autenticam­ente collettiva possono fermare la sofferenza su scala globale. Dobbiamo prestare attenzione a quella lezione. Il momento di darsi da fare è arrivato per tutti noi, non solo per quelli che si trovano in prima linea. Dobbiamo trasformar­e i nostri valori in azioni concrete, poiché i valori a cui rinunciamo quando la situazione si fa più dura, non possono essere nemmeno chiamati valori. È per momenti come questi che abbiamo creato il sistema umanitario. Non dobbiamo abbandonar­lo proprio nel momento in cui ce n’è più bisogno.

Alto Commissari­o delle Nazioni Unite per i Rifugiati

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