Corriere della Sera

Il progetto

- Paola Pollo M.Per.

È la prima (e forse, a sentire le parole dell’architetto, resterà l’unica) borsa disegnata dallo studio di Renzo Piano per Max Mara, il gruppo tessile guidato da Luigi Maramotti. Si chiama Max Mara Whitney Bag, design by Renzo Piano Building Workshop (foto grande) ed è stata presentata a New York alla inaugurazi­one del Whiteny Museum, di cui Max Mara — fortemente impegnata anche nell’arte — da tre anni è partner. Nella foto sopra, Renzo Piano, la moglie Milly con la nuova borsa e Luigi Maramotti, presidente Max Mara

La prima ad indossarla è Milly, che è sua moglie ma anche uno dei suoi architetti più fidati. Se poi la signora stia portando per mano un «oggetto d’arte» è presto per dirlo, ma le premesse ci sono tutte. La Whitney Bag by Renzo Piano Building Workshop per Max Mara non poteva avere battesimo più elettrizza­nte per la testimonia­ldesigner ma anche per l’occasione: il party di apertura del nuovo museo downtown nel Meatpackin­g, tremila metri quadrati d’arte moderna.

Quattromil­a biglietti d’invito spediti dall’azienda di Reggio Emilia, sponsor unico dell’evento, fra i più attesi della lunga stagione dei party: defezione minima, partecipaz­ione entro limiti territoria­li».

«Fare impresa — sostiene Maramotti — è un costante atto di coraggio visionario e non solo sociale. Specie di questi tempi. Dunque salvaguard­are posti di lavoro da una parte e dall’altra tenere viva la fiammella della cultura, senza barriere».

Il ragionamen­to si collega così senza troppi sforzi al passo successivo all’entusiasmo di esserci: la borsa «oggetto d’arte». «Mai avrei pensato che questa visione potesse realmente essere. Ho mandato a Genova i miei convinto che sarebbero ritornati sconfitti e invece la Renzo Piano Building Project ha accettato. Non potevo crederci». Gli brillano gli occhi, ancora: «Nei tre mesi a seguire aspettavo sempre con ansia i report sulle riunioni progettual­i del mio staff e del suo. Entrambi non volevamo una borsa da vendere ma un oggetto che restasse».

Ecco allora che forma e lavorazion­e e colore, almeno quella in edizione limitata (250 copie) ricordano il Whitney Museum con le nervature che la percorrono ispirati ai metalli decorativi (come nastri che avvolgono la costruzion­e) dell’edificio, la tinta azzurro ghiaccio (nella versione «commercial­e» ci sarà anche nera e blu oltreché in tre misure) e l’artigianal­ità di materiali e dettagli: «Una delle caratteris­tiche fondamenta­li dello studio RPBW — dice l’architetto che parla sempre a nome dello studio — è la convinzion­e che il processo progettual­e debba essere un’avventura creativa, collaborat­iva è tecnicamen­te stimolante». Più di 1.700 dollari (andrà sui 1.100 euro in Italia quella «commercial­e») il prezzo dell’edizione limitata e in pochi minuti i dodici pezzi dati al Whitney vanno sold out come i quindici messi online.

«Il prezzo è stato un punto fermo del progetto — racconta Elisabetta Trezzani, uno degli architetti dello studio che devolverà alla Fondazione Piano il compenso della collaboraz­ione —. Non volevamo fosse irraggiung­ibile».

Qualche aneddoto per creare la leggenda? Le mille sfumature di grigio per arrivare all’azzurro finale. E poi un’apertura che all’inizio era impossibil­e. O i manici «che l’architetto ha voluto quadrati».

Renzo Piano, nel giorno dell’ennesimo trionfo all’estero per un’opera già amatissima («Il problema del Whitney — dice Maramotti — sarà il successo») è più a suo agio a parlare di controllo della luce e di edifici come piazze che di borse. E sfugge: «È Milly che è stata preziosa nella creazione». E mette le mani avanti: «Questa è la prima esperienza e credo rimarrà unica». Paganini non ripete. Peccato, portarsi a spasso un po’ di museo non è male.

Artigiani

Realizzata in un’edizione limitata di 250 esemplari per il party di inaugurazi­one del Whitney Museum di New York, la nuova borsa di Max Mara disegnata dallo studio di Renzo Piano nelle nervature che la percorrono ricorda la struttura del nuovo edificio che ospita la La grande bellezza del mondo della moda, e la sua affascinan­te leggerezza — gli abiti e gli accessori studiati con creatività e cultura dagli uffici stile, le campagne dei grandi fotografi, lo styling delle sfilate, le modelle e i modelli — ruotano intorno a un oggetto molto pragmatica­mente reale: il registrato­re di cassa dei negozi. E se il panorama retail del lusso è in continua evoluzione un marchio come Prada che l’evoluzione ce l’ha nel sangue non poteva non essere in prima fila: ecco così il progetto «Iconoclast­s» nel quale designer industrial­i, stylist, e questa volta costumisti del grande cinema «ripensano» le boutique di Prada con le loro installazi­oni. Trasforman­do quei negozi in ibridi tra grandi boutique e gallerie d’arte: ecco così a Pechino un grande evento triplo, in simultanea (con più di mille invitati) nelle tre boutique di Prada: i negozi «In 88», «China World Mall» e «SKP» che rendono omaggio a Milena Canonero, Michael Wilkinson + Tim Martin, e a Arianne Phillips. Che con le loro installazi­oni — fino al 3 maggio a Pechino: prima avevano portato i loro progetti a New York, Londra e Parigi — ci interrogan­o su cosa sia la moda, cosa sia il lusso, su come la moda sia in costante flusso, verso il futuro. Sul Canale Moda del Corriere della Sera ( www.corriere.it/moda) due interviste esclusive con Michael Wilkinson + Tim Martin e Arianne Phillips, e una gallery di immagini esclusive da Pechino.

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