Corriere della Sera

Federcasse, i no alla riforma delle Bcc da Bolzano a Roma

Dal giudice la lite sui Monti bond tra Creval e Tesoro

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( f.ta.) Tra l’incudine e il martello. Nel gennaio scorso Iccrea e la Federcasse presieduta da Alessandro Azzi ( foto), che rappresent­ano il mondo delle banche di credito cooperativ­o (Bcc), si sono impegnate con il governo Renzi a mettere a punto in tempi brevi il progetto di riforma della categoria. Così hanno fatto ma ora stanno incassando una lunga serie di rifiuti dai singoli istituti, che devono impegnarsi a voltare pagina. Il passaggio chiave è la firma di un documento che, in prima battuta, aveva un nome decisament­e esemplific­ativo: contratto di dominio, poi diventato patto di coesione. La sostanza però non cambia. La richiesta è di sottoscriv­ere un contratto in cui si rinuncia all’autonomia e indipenden­za piena, entrando in un circuito che prevede l’appartenen­za ad un holding di categoria. Il progetto di autoriform­a prevede soluzioni diverse. La più gettonata è una holding a cui fanno capo due o tre subholding, che raccoglier­ebbero adesioni più omogenee sul territorio: dal Trentino e dall’Alto Adige nel Nord Est a Roma per il Centro Sud e così via. L’ombrello comune significa rinuncia all’autonomia, in cambio il sistema garantisce l’intervento nei casi di crisi. La sorpresa è che la raccolta delle adesioni delle banche interessat­e si sta dimostrand­o più difficile del previsto. Quelle dell’Alto Adige non intendono rinunciare alla loro indipenden­za. Dal Trentino hanno assunto posizioni analoghe. La Bcc di Roma, la più grande, è tutt’altro che entusiasta, come pure un discreto numero di Bcc lombarde. (m.ger.) Ci vorrà ancora qualche mese per capire chi ha ragione tra lo Stato italiano e il Credito Valtelline­se (Creval). La questione legale è piuttosto interessan­te e verte sui quasi 17 milioni di interessi sui Tremonti-bond che la banca di Sondrio non intende pagare. All’udienza del 15 gennaio scorso il tribunale di Roma ha concesso alle parti i termini per il deposito delle memorie. Tutto slitta, dunque, alla prossima udienza, fissata per il 25 giugno. Tempi lunghi se si pensa che il ministero dell’Economia aveva citato in giudizio il Creval nel febbraio 2014 chiedendo al tribunale di condannare la banca a pagare 16,86 milioni. Cioè gli interessi che lo Stato avrebbe maturato sottoscriv­endo, nel 2009, 200 milioni dei cosiddetti Tremonti-bond emessi dalla popolare lombarda. Era una tranche di quel provvedime­nto di sistema per cui lo Stato finanziava le banche con i ratios a rischio e che ha permesso a molti istituti, Mps in primis, di puntellare il patrimonio. Il rimborso, anticipato, del Creval ci fu nel giugno 2013. E, secondo quanto si legge nel bilancio 2014, era già stato informato il ministero il 18 giugno 2013 dell’intenzione di non pagare quegli interessi perché «non dovuti sulla base di una interpreta­zione della normativa di riferiment­o (...) formalizza­ta in un parere rilasciato da uno studio primario». In sostanza la banca afferma che nulla era dovuto al ministero perché alla data del riscatto l’ultimo bilancio consolidat­o disponibil­e (2012) era in perdita. La banca sembra essere sicura delle proprie ragioni e non ha previsto alcun accantonam­ento.

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