Il piccolo mondo sulla Costiera turbato da un imponente Botero
La geografia non è il mio forte ma a Bauci, pure se non esiste, giuro che ci sono stato e so dov’è. Si potrà obiettare: «Embe’, e allora?».
Lo ammetto, non sono stato il primo e nemmeno sarò l’ultimo a essere passato per la costiera amalfitana, ma l’aver comunque calcato quelle terre mi ha permesso di gustare fino in fondo, e un po’ di più, questo bel romanzo di Franco Di Mare, Il caffè dei miracoli (Rizzoli). Sia chiaro: che possa essere Ravello il posto immaginario dove l’autore cala la sua storia l’ho solo supposto seguendo con attenzione un blog che fornisce notizie sulle vicende cittadine dal titolo Vite parallele. Che, in quanto titolo, è sì un omaggio alla formazione classica del suo curatore, un insegnante di Lettere in pensione, ma è soprattutto un teorema che dimostra senza possibilità di errore come la vita sia in fin dei conti uguale a ogni latitudine: cambiano le tecnologie insomma, ma tutto il mondo è paese.
Bauci quindi, sotto il cui nome, o velo, si nasconde un luogo che potrebbe essere reale. E non a caso, poiché proprio dietro a un velo, enorme e di colore blu — non verde, mi raccomando! — viene nascosta la Maya tropical, scultura del maestro Fernando Botero, fiore all’occhiello di una mostra d’arte. La generosità dell’artista colombiano è ben nota, due natiche delle sue valgono almeno dieci Veneri callipigie.
Si immagini il colpetto che prende a don Enzo, parroco del paese, quando una bella mattina se le trova sbattute davanti agli occhi, poiché la Maya sta proprio in mezzo alla piazza della chiesa, le chiappe rivolte verso il Santissimo. Scalpita, il povero prete. Novello don Camillo affronta il suo Peppone, il sindaco Rocco Casillo che ha tralasciato il sigaro toscano per le Marlboro. Cosa dirà il vescovo quando, fra qualche giorno, arriverà in paese per la processione in cui la santa Eufrasia verrà portata in trionfo per Bauci? Capirà tutte le storie con le quali l’assessore alla Cultura Ferrigno spiega perché mai lo scultore sudamericano indugia così tanto su seni e deretani, oppure vedrà in essi solo una moralità in declino? E basterà l’enorme velo blu, o rosso in alternativa, a evitare scandali?
Si può rispondere tranquillamente: no, non basterà. Ma le tante sorprese che il romanzo, di capitolo in capitolo, riserva al lettore non ne patiscono. No, perché, (ecco la prima, la più clamorosa, dopodiché, lo giuro, basta), tocca all’operatore ecologico Venanzio trovare una neonata ai piedi, o sarebbe meglio dire al sedere?, della Maya che par quasi deposta dalla stessa, come un uovo. È l’ora dei carabinieri adesso, nella persona del maresciallo Saverio Mannino il quale, fiuto di lupo, indaga, guarda, ascolta, taglia e poi infine medica.
E Bauci, in fine della storia, come se la cava? Bene, a dispetto dell’estensore di Vite parallele che usa chiudere i suoi anonimi comunicati con una citazione, Cartago delenda est, con evidente intento di pulizia nucleare. Mentre secondo il parere del lettore sarebbe un peccato, poiché così andrebbe perduto uno dei tanti «mondi piccoli» che fanno la felicità di chi già sa che un libro difficilmente potrà cambiare le sorti dell’umanità, mentre più facilmente addolcire le sorti di quelle quattro o cinque ore che gli dedichiamo.
Franco Di Mare veste di nuovo una favola bella, come già accennato: tutto il mondo è paese. E spezza una lancia a favore di certe credenze, sia pure popolari, che elevano a rango di portafortuna l’anatomia cara a Botero e che invece scandalizza tanto il parroco. L’unico cui quelle terga menan gramo sarà proprio lui: leggere per credere. E con le rivelazioni, stavolta davvero, la chiudo qui.