Corriere della Sera

RIVOLUZION­E ROMANTICA

MEHTA DIRIGE IL «FIDELIO» DI BEETHOVEN «QUEST’OPERA HA CAMBIATO LA MUSICA » L’appuntamen­to L’opera sull’amore e la libertà del compositor­e tedesco apre un’edizione del Maggio Musicale Fiorentino che presenta anche tre nuovi allestimen­ti: un segno di ripr

- di Valerio Cappelli

Icuniculi, il sottosuolo, il carcere, le catene che si spezzano, la ricerca della luce, la libertà. È l’anno del Fidelio. Vi ha aperto il 7 dicembre la Scala; e il 27 vi aprirà il Maggio Musicale, con la direzione di Zubin Mehta. Che nella sua lunga storia fiorentina con l’opera di Beethoven ha un solo precedente: 1969, regia di Strehler, scene di Frigerio. «Ma l’ho interpreta­ta tante volte altrove. Per gli orchestral­i del Maggio è una scoperta, loro non c’erano nel ’69, alle prove stanno reagendo con entusiasmo».

In Italia non si fa spesso. «Ed è un peccato, perché è un capolavoro senza punti deboli. Io penso che così come Michelange­lo, nel Giudizio Universale della Cappella Sistina, avviò il Barocco, Beethoven con il preludio del secondo atto del Fidelio avviò il Romanticis­mo. Qui taglia i ponti con il classicism­o di Haydn, di cui si era nutrito. Nella storia della musica, più o meno ogni cinquant’anni avviene un cambio di direzione. Ma dopo Beethoven, come snodi rivoluzion­ari, indicherei Tristano e Isotta, Mahler, Schoenberg. Dopo di lui non ho più visto cambiament­i».

Delle quattro versioni del Fidelio, a Firenze si farà l’ultima, quella del 1814. Maestro, potremmo definirla un’opera «sinfonica»? «No, possiamo dire che Beethoven nella sua unica opera scelse una vocalità scomoda». Mehta dice che la concomitan­za di titolo con Milano è casuale: «non sapevo che Daniel Barenboim l’avrebbe diretta, anche perché i cartelloni si progettano con due anni di anticipo». Barenboim disse che non viene capita per quella che è, viene definita un’opera politica che inneggia alla libertà e alla giustizia, ma il tema principale è l’amore, il coraggio di una donna pronta a fare tutto per liberare suo marito. «È la vittoria dell’amore sopra la tirannia, la tirannia di certi estremismi della Rivoluzion­e francese e poi di Napoleone, ci sono questi echi in Beethoven, che non andava per strada a dimostrare, ma era coinvolto politicame­nte nelle idee e nei fermenti della sua epoca. Mi chiede se Leonore possa incarnare la sposa che Beethoven non ha avuto? Una tesi suggestiva, può essere. A Firenze abbiamo una regia non voglio dire tradiziona­lista, visto che si dà a questa parola un’accezione negativa, ma molto corretta».

Lo spettacolo fu portato a Valencia nel 2006 e nel 2011, e prima o poi in Italia bisognerà liberarsi dell’aura mitica che circonda la prima di stagione, e pazienza per tutto il resto dell’anno. Il regista è Pier’Alli che ha seguito «fedelmente il libretto. L’opera comincia come una commedia, in cui si allude al luogo della fortezza. Uno sporco, consumato cortile dove si svolge l’azione quotidiana, il gioco amoroso, con l’equivoco che il personaggi­o amato da Marzelline, la figlia di Rocco il carceriere, non è un uomo ma una donna. Una commedia degli equivoci che evolve in dramma. Parte con una certa ambiguità, sembra una commedia un po’ settecente­sca, seppure con elementi inquietant­i, dove gli oggetti di tortura vengono usati come oggetti del quotidiano, un asse da stiro (no, non sapevo che l’hanno già fatto alla Scala), una sedia per la garrota. Non c’è una simbologia immediata che si impone, fino al- la marcia e all’arrivo di Pizarro, lì entriamo nel dramma vero e proprio, il cortile si trasforma nel cortile di prigione umido e greve dove appaiono i reclusi alla ricerca della luce. Il luogo del profondo, dov’è rinchiuso Florestan, che fa pensare a un fondo di pozzo alla Poe, è un luogo di tortura circolare, come l’immagine del mondo, dentro il quale c’è l’uomo che soffre. È un viaggio nell’inconscio. Per il popolo che si muove come replicanti nel dolore, e per la risalita verso la luce, mi sono affidato alle proiezioni».

Sarà la penultima opera di Mehta come direttore principale del Maggio Musicale: nel 2017 lascerà dopo il Don Carlo (l’addio dovrebbe essere con Verdi). «Cose da prendere con filosofia. Mi auguro che si ricorderan­no del mio lavoro trentennal­e a Firenze. Se in futuro tornerò a dirigere in questa città, o al San Carlo di Napoli, dove ho di recente fatto con felicità il mio debutto assoluto? Non lo so, è prematuro parlarne ora. Godiamoci il Fidelio ».

Qui l’autore taglia i ponti con il classicism­o di Haydn, di cui si era nutrito Dirigerò ancora il Don Carlo, poi lascerò Firenze dopo trenta anni

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