ANCORA SULLA QUESTIONE ARMENA L’UTILITÀ DELLE DISTINZIONI
Lei scrive che «soltanto alla politica nazista contro gli ebrei può essere applicata la parola genocidio», poiché «soltanto Hitler si è proposto come obiettivo strategico l’eliminazione fisica di tutti gli ebrei». È storicamente falso. Per restare al caso armeno, Taalat Pashà, ministro dell’Interno e uomo forte dei Giovani Turchi, disse che gli armeni andavano sterminati, tutti, «altrimenti i sopravvissuti si potrebbero vendicare». Questa affermazione, testimoniata dall’ambasciatore Usa H. Morgenthau, è confermata da tutti gli avvenimenti precedenti e successivi alle deportazioni. Il genocidio degli armeni fu deliberato da atti politici ufficiali, pianificato nei dettagli, implementato da un’apposita «Organizzazione speciale», praticato sistematicamente con crudeltà e rigore in ogni villaggio, città, provincia. Portò allo sterminio di un popolo e alla completa cancellazione delle sue millenarie radici culturali e religiose. Esiste un’ampia e autorevolissima storiografia. Che tutto ciò vada derubricato a «pulizia etnica» o a «massacri», è insostenibile. A quali «ragioni di contesto» lei si riferisce? Alle menzogne del governo turco di allora, su una presunta alleanza con il nemico russo? O alla storiografia ufficiale turca di oggi, risibile in un Paese in cui parlare di «genocidio» è reato? Contrariamente alla sua tesi, non c’è nulla di «incomprensibile» nel genocidio armeno, riconosciuto da tutti gli storici che se ne sono seriamente occupati. Quando il giurista Raphael Lemkin, ebreo polacco scampato ai lager, propose per la prima volta il termine «genocidio», non si conosceva ancora la portata reale della Shoah. Lemkin prese a riferimento, per definire le caratteristiche tecnico-giuridiche del genocidio, proprio il caso armeno. Sostenendo che solo per la Shoah si può parlare di genocidio, lei rende agli ebrei un pessimo servizio, esponendoli all’accusa gratuita e davvero odiosa di voler monopolizzare la sofferenza per ragioni propagandistiche e strumentali. Caro Litta Modignani, a lunghezza della sua lettera mi lascia poco spazio e mi costringe a risponderle schematicamente, È molto probabile che nelle intenzioni del terzetto al potere (Djemal, Enver, Talaat) i massacri dovessero avvenire con « una sistematicità rigorosa». Ma in un libro recente, Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ci ha ricordato che le cose nella realtà andarono diversamente. I metodi usati per i massacri furono una disordinata combinazione di violenza pubblica e privata, spesso casuale e venale, non senza molti episodi di carità e umanità. Vi furono molti casi in cui gli armeni credettero di avere riscattato la loro vita con il pagamento di esosi ricatti, ma caddero egualmente nella trappola della deportazione e
Ldell’eccidio. Ve ne furono altri in cui pietosi musulmani cercarono di nasconderli e salvarli. E ve ne furono altri ancora in cui le vittime divennero merce da vendere e comprare.
Vi è poi una fondamentale differenza fra il genocidio hitleriano e i massacri turchi. Gli ebrei tedeschi non potevano essere accusati di alcunché e furono sterminati con motivazioni pseudo scientifiche. Gli armeni, invece, erano percepiti come una minaccia all’integrità dello Stato. Non è necessario condividere le giustificazioni della Turchia per constatare che le loro rivolte, negli anni precedenti, avevano esposto il governo di Costantinopoli a continui interventi europei, che la Russia era diventata la loro protettrice e che avrebbe cercato di servirsene, dopo lo scoppio della guerra russoturca, nel novembre del 1914, come di una quinta colonna. Sto forse assolvendo la Turchia? No, sto semplicemente sostenendo che la parola genocidio, distribuita troppo generosamente, rende eguale ciò che è spesso alquanto diverso.
Ancora una osservazione, caro Litta Modignani. Quando ho scritto che esiste ormai una «gara dei genocidi» non conoscevo ancora la lettera con cui il presidente dell’Associazione Italia-Tibet lo rivendica anche per il trattamento subito dalla popolazione tibetana dopo l’invasione cinese del 1950. L’approdo finale di questa gara rischia di essere: troppi colpevoli, nessun colpevole.