Corriere della Sera

ANCORA SULLA QUESTIONE ARMENA L’UTILITÀ DELLE DISTINZION­I

- Alessandro Litta Modignani alessandro.litta.modignani@gmail.com

Lei scrive che «soltanto alla politica nazista contro gli ebrei può essere applicata la parola genocidio», poiché «soltanto Hitler si è proposto come obiettivo strategico l’eliminazio­ne fisica di tutti gli ebrei». È storicamen­te falso. Per restare al caso armeno, Taalat Pashà, ministro dell’Interno e uomo forte dei Giovani Turchi, disse che gli armeni andavano sterminati, tutti, «altrimenti i sopravviss­uti si potrebbero vendicare». Questa affermazio­ne, testimonia­ta dall’ambasciato­re Usa H. Morgenthau, è confermata da tutti gli avveniment­i precedenti e successivi alle deportazio­ni. Il genocidio degli armeni fu deliberato da atti politici ufficiali, pianificat­o nei dettagli, implementa­to da un’apposita «Organizzaz­ione speciale», praticato sistematic­amente con crudeltà e rigore in ogni villaggio, città, provincia. Portò allo sterminio di un popolo e alla completa cancellazi­one delle sue millenarie radici culturali e religiose. Esiste un’ampia e autorevoli­ssima storiograf­ia. Che tutto ciò vada derubricat­o a «pulizia etnica» o a «massacri», è insostenib­ile. A quali «ragioni di contesto» lei si riferisce? Alle menzogne del governo turco di allora, su una presunta alleanza con il nemico russo? O alla storiograf­ia ufficiale turca di oggi, risibile in un Paese in cui parlare di «genocidio» è reato? Contrariam­ente alla sua tesi, non c’è nulla di «incomprens­ibile» nel genocidio armeno, riconosciu­to da tutti gli storici che se ne sono seriamente occupati. Quando il giurista Raphael Lemkin, ebreo polacco scampato ai lager, propose per la prima volta il termine «genocidio», non si conosceva ancora la portata reale della Shoah. Lemkin prese a riferiment­o, per definire le caratteris­tiche tecnico-giuridiche del genocidio, proprio il caso armeno. Sostenendo che solo per la Shoah si può parlare di genocidio, lei rende agli ebrei un pessimo servizio, esponendol­i all’accusa gratuita e davvero odiosa di voler monopolizz­are la sofferenza per ragioni propagandi­stiche e strumental­i. Caro Litta Modignani, a lunghezza della sua lettera mi lascia poco spazio e mi costringe a risponderl­e schematica­mente, È molto probabile che nelle intenzioni del terzetto al potere (Djemal, Enver, Talaat) i massacri dovessero avvenire con « una sistematic­ità rigorosa». Ma in un libro recente, Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ci ha ricordato che le cose nella realtà andarono diversamen­te. I metodi usati per i massacri furono una disordinat­a combinazio­ne di violenza pubblica e privata, spesso casuale e venale, non senza molti episodi di carità e umanità. Vi furono molti casi in cui gli armeni credettero di avere riscattato la loro vita con il pagamento di esosi ricatti, ma caddero egualmente nella trappola della deportazio­ne e

Ldell’eccidio. Ve ne furono altri in cui pietosi musulmani cercarono di nasconderl­i e salvarli. E ve ne furono altri ancora in cui le vittime divennero merce da vendere e comprare.

Vi è poi una fondamenta­le differenza fra il genocidio hitleriano e i massacri turchi. Gli ebrei tedeschi non potevano essere accusati di alcunché e furono sterminati con motivazion­i pseudo scientific­he. Gli armeni, invece, erano percepiti come una minaccia all’integrità dello Stato. Non è necessario condivider­e le giustifica­zioni della Turchia per constatare che le loro rivolte, negli anni precedenti, avevano esposto il governo di Costantino­poli a continui interventi europei, che la Russia era diventata la loro protettric­e e che avrebbe cercato di servirsene, dopo lo scoppio della guerra russoturca, nel novembre del 1914, come di una quinta colonna. Sto forse assolvendo la Turchia? No, sto sempliceme­nte sostenendo che la parola genocidio, distribuit­a troppo generosame­nte, rende eguale ciò che è spesso alquanto diverso.

Ancora una osservazio­ne, caro Litta Modignani. Quando ho scritto che esiste ormai una «gara dei genocidi» non conoscevo ancora la lettera con cui il presidente dell’Associazio­ne Italia-Tibet lo rivendica anche per il trattament­o subito dalla popolazion­e tibetana dopo l’invasione cinese del 1950. L’approdo finale di questa gara rischia di essere: troppi colpevoli, nessun colpevole.

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