Un percorso di due secoli con quattro opere «straniere»
Bianchi: «Ottocento e Novecento nella nostra tradizione»
Quattro opere, in tedesco, inglese e francese. Niente italiano, proprio qui, a Firenze, dove il melodramma nacque con l’Orfeo di Peri e Caccini nel 1600, nuovo secolo e nuovo capitolo della storia musicale scritto dalla Camerata de’ Bardi.
Fidelio e The Turn of the Screw, Candide e Pelléas et Mélisande: il Maggio Musicale non si rifugia nel repertorio più popolare né si adagia sul glorioso passato cittadino, ma il sovrintendente Francesco Bianchi la definisce «una scelta tradizionale: il Maggio ha una tradizione innovativa, per questo abbiamo scelto titoli di Otto e Novecento; già negli Anni 50 e 60 e ancor prima, quando al Maggio c’era anche il teatro di prosa: menziono solo un Troilo e Cressida del ’49 con Visconti regista, le scene di Zeffirelli, Gassman tra gli attori; un allestimento che mise in croce le finanze della rassegna». Una crisi finanziaria grave si è abbattuta anche nel recentissimo passato «ma ora abbiamo un po’ di soldi e li abbiamo investiti: il Fidelio viene da Valencia, gli altri sono tutti nuovi allestimenti. Comunque la scelta non ha motivazioni linguistiche ma musicali: Zubin Mehta voleva fare Fidelio da un po’, la sua visione è che Beethoven la considerasse un’opera definitiva e questo spiegherebbe perché fu l’unica che compose». The Turn of the Screw di Britten sarà firmato dal regista Benedetto Sicca e diretto da Jonathan Webb al teatro Goldoni.
Stesso idioma ma distanza oceanica, non solo dal punto di vista geografico, col Candide di Bernstein; il nuovo allestimento avrà l’impronta dell’estroso Francesco Micheli e del texano John Axelrod, che di Bernstein fu allievo e amico: Candide ha segnato il suo debutto alla Scala. Da oltreoceano a oltralpe col Pelléas et Mélisande di Debussy, firmato da Daniele Abbado, diretto da Daniele Gatti (un esperto del repertorio transalpino: è a capo dell’Orchestre Nationale de France) e con un cast di stelle italiche, con Monica Bacelli, Roberto Frontali, Ferruccio Furlanetto e Sonia Ganassi. «Con Gatti c’è un rapporto profondo, ho chiesto a lui di dirigere il Requiem in memoria di Abbado, a febbraio. È stato lui a volere voci tutte italiane, ho accettato subito».
Conferma questa predilezione la doppia presenza del direttore milanese nel ricco cartellone sinfonico, come Mehta, entrambi con i complessi del Maggio: il maestro indiano lo aprirà con Die Schöpfung di Haydn (curiosa coincidenza: Fidelio e la Creazione hanno inaugurato anche le stagioni lirica e sinfonica della Scala, con l’oratorio di Haydn interpretato proprio da Mehta) e lo continuerà con la terza sinfonia di Mahler; anche Gatti affronterà una corona del classicismo Viennese (Mozart, con le due ultime sinfonie) e Mahler: l’edizione 2015 si chiuderà sulle note della seconda sinfonia Resurrezione.
Tra l’Orchestra Regionale della Toscana ( Stabat Mater di Rossini al Verdi col direttore musicale Daniele Rustioni) e quella di Bolzano e Trento (coi lieder di Mahler orchestrati da Berio) spiccano Valery Gergiev e la London Symphony Orchestra, impegnati in un tutto Shostakovich, con la prima e l’ultima delle sue 15 sinfonie. Curiosità per la Kyoto Symphony Orchestra, che tra il Till Eulenspiegel e il Rosenkavalier straussiani incastona November Steps di Takemitsu, e della Korea National Contemporary Dance Company.
Sontuoso il capitolo pianisti, «grazie agli Amici della Musica di Firenze» dice Bianchi «trovo assurdo non collaborare con le altre realtà cittadine; così facendo, in questi anni abbiamo portato in riva all’Arno i migliori pianisti del mondo». A nobilitare l’elenco sarà un trittico stellare: Lang Lang, Murray Perahia, Grigory Sokolov.