Corriere della Sera

Gli 007 sapevano da metà marzo di ostaggi morti

I servizi segreti italiani informati già a marzo della possibile uccisione di Lo Porto in Pakistan

- di Giuseppe Sarcina e Fiorenza Sarzanini

Iservizise­greti italiani, a metà marzo, vennero informati che i droni americani avevano attaccato un edificio al confine con l’Afghanista­n e che, tra le vittime, oltre ad alcuni affiliati ad Al Qaeda, c’erano anche ostaggi stranieri. Tra questi, il cooperante Giovanni Lo Porto, 39 anni, rapito nel 2012. La Cia e la commission­e Intelligen­ce del Senato Usa hanno aperto indagini indipenden­ti.

A metà marzo un informator­e dei servizi segreti italiani chiama dal Pakistan. Attenti, avvisa, i droni americani hanno attaccato un edificio al confine con l’Afghanista­n: sono morti alcuni affiliati ad Al Qaeda, ma tra le vittime ci sono anche degli ostaggi stranieri. La stessa fonte nel novembre 2014 aveva assicurato che Giovanni Lo Porto, il cooperante rapito, fosse ancora vivo.

A poco a poco emergono particolar­i, supposizio­ni o schegge di verità su quello che è accaduto da gennaio, quando il raid ha distrutto la base dei terroristi, a venerdì 23 aprile, giorno in cui Barack Obama si è scusato «per il tragico errore e per la morte di Warren Weinstein e Giovanni Lo Porto». L’Ispettorat­o generale della Cia e la Commission­e Intelligen­ce del Senato hanno aperto indagini indipenden­ti. Il presidente americano si è impegnato «a rivedere con rigore» la dinamica dei fatti, ma è possibile che attenda i primi risultati delle inchieste di Cia e Senato per assumere un’iniziativa concreta.

Ci sono ancora diverse zone oscure. Il Wall Street Journal sostiene che fosse in corso una trattativa per liberare Weinstein. Anzi un intermedia­rio non ancora identifica­to avrebbe versato 250 mila dollari al gruppo dei sequestrat­ori, con la sponda di alcuni agenti dell’Fbi. Un particolar­e che, se provato, avrebbe pesanti conseguenz­e politiche, visto che l’amministra­zione Obama è drasticame­nte contraria a negoziare con i fuorilegge di qualsiasi natura.

Da Roma fonti dei servizi segreti aggiungono altri elementi. Il governo italiano può contare su una buona rete di informazio­ni riservate nell’area dell’attacco, grazie alla presenza del contingent­e militare in Afghanista­n, a Herat e a Kabul. In parallelo il rapimento di Lo Porto era seguito dall’unità di crisi del ministero degli Esteri. A novembre, dunque, c’è la ragionevol­e convinzion­e che il cooperante sia ancora vivo. A metà marzo il tremendo sospetto che sia stato ucciso. L’intelligen­ce italiana contatta la Cia e la National security agency, ma ottiene una risposta interlocut­oria: stiamo ancora verificand­o, vi faremo sapere. Da qui in poi si entra in un cono d’ombra. Gli americani hanno analizzato il Dna dei due cadaveri per accertarne l’identità. Prima domanda ancora senza risposta: chi ha fornito agli esperti statuniten­si un reperto per confrontar­lo con il corredo genetico recuperato dal corpo? Basta un indumento usato, un capello, un rasoio. I servizi italiani fanno sapere che non sono stati loro. Allora gli stessi americani, o altri per conto loro, avrebbe setacciato la casa di Multan, sul confine tra Pakistan e Afghanista­n, dove Lo Porto venne catturato il 19 gennaio 2012 da quattro uomini armati. Resta, però, da capire se questa operazione di recupero sia stata condivisa con Roma per acquisire ulteriori elementi di prova.

Secondo interrogat­ivo: quando gli agenti Usa si sono resi conto che uno dei due ostaggi uccisi fosse italiano? Sembra che Obama sia stato messo al corrente verso la metà di aprile. Non è ancora chiaro se avesse già la sicurezza assoluta su Lo Porto. Ma in ogni caso, il 17 aprile alla Casa Bianca

La trattativa Un intermedia­rio avrebbe versato 250 mila dollari per liberare l’americano Weinstein

ne parla con Matteo Renzi come di un’ipotesi ancora da verificare. Il 22 aprile il presidente americano telefona a Renzi e gli conferma la morte del cooperante, aggiungend­o che avrebbe rilasciato una dichiarazi­one all’indomani. In Italia è già sera. Il giorno dopo, il 23 aprile, il premier riferisce la notizia a qualche ministro, poi chiama la famiglia di Giovanni. Pochi minuti dopo, Obama compare nella Briefing room della Casa Bianca.

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(Ap) In missione Una foto del 2011 mostra il cooperante Giovanni Lo Porto, ucciso a 39 anni lo scorso gennaio in un raid Usa, al lavoro a Multan in Pakistan

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