Così il terrore sconvolge le bellissime vie del trekking
Tre alpinisti italiani bloccati. A rischio strade e interi villaggi. «Una catastrofe»
Leincognite scatenate dal terremoto di ieri sono ormai l’incubo di alpinisti e amanti del trekking in Nepal. Ma anche l’intera popolazione delle zone di montagna è stata investita da una gigantesca catastrofe che mette a rischio strade, villaggi, sentieri.
Che sarà adesso delle pareti rocciose, dei ghiacciai pensili, dei seracchi che incombono sulle vallate e le vie di accesso alle terre alte? Come sarà possibile passarvi sotto con un minimo di sicurezza? Le incognite scatenate dal terremoto di ieri mattina sono ormai l’incubo di alpinisti e amanti del trekking in Nepal. Tre italiani sono rimasti bloccati sull’Everest e Dhaulagiri ieri: Marco Zaffaroni, Roberto Boscato e Marco Confortola. Ma anche l’intera popolazione delle zone di montagna è stata investita da una gigantesca catastrofe che mette a rischio strade, villaggi, sentieri. «Sono ore che parlo con i miei collaboratori nella regione. Ci sono tante spedizioni alpinistiche internazionali che stanno valutando di tornare indietro appena possibile. Ma ancora non abbiamo il quadro completo del disastro. Molti luoghi sono inaccessibili. Sono saltate le comunicazioni con le vallate più remote. Le vittime potrebbero essere molto, molto più numerose di quelle registrate al momento», spiega Agostino Da Polenza, l’alpinista bergamasco responsabile del progetto EvK2Cnr, che ormai da diversi anni coordina le iniziative italiane di ricerca scientifica sulla catena himalayana.
Ai circa 5.000 metri di altezza del campo base dell’Everest al momento nevischia. Il termometro si aggira sugli zero gradi. Questo è il periodo dell’anno in cui le spedizioni di alpinisti stranieri stanno acclimatandosi tra la cittadella di tende variopinte piantate tra la neve e le pietre della morena glaciale. Appena sopra, sulla cosiddetta «Icefall», il ripido pendio crepacciato che adduce ai circa 6.000 metri del Campo Uno, gli sherpa sono indaffarati nel preparare la lunga serie di scale di alluminio, pioli e corde fisse che facilita il passaggio. L’anno scorso una valanga di ghiaccio ne uccise 16. Seguirono le proteste che chiedevano paghe migliori per un lavoro tanto rischioso. Risultato: l’intera stagione alpinistica venne penalizzata. Il terremoto di ieri ha causato una nuova slavina quasi nello stesso punto. Un’altra è caduta nei pressi del campo base. E una terza è stata registrata dal seracco pensile che incombe a metà parete sul Pumori, una superba piramide alta oltre 7.100 metri che troneggia di fronte all’Everest. Il posto è generalmente molto frequentato. Da metà aprile all’arrivo del monsone a fine giugno le sue pendici a 5.500 metri costituiscono sovente il punto di salita massimo per le centinaia di camminatori che a tappe sono arrivati da Lukla, il villaggio a circa 3.300 metri dove atterrano i piccoli aerei a elica delle agenzie turistiche.
È un trekking mozzafiato e tutto sommato semplice per chi non soffre il mal di montagna. Al più ogni quattro o cinque ore di marcia si incontrano lodge attrezzati, che offrono da mangiare e dormire. È sempre pronto il dalbat: lenticchie, riso e verdure cotte. Per un paio di dollari arriva l’immancabile tè verde, per cinque o sei la bottiglia di birra grande locale. Una delle «prelibatezze» più diffuse è il Mars impanato e fritto.
Ma il terremoto è tornato a sconvolgere l’economia locale. Molti lodge sono crollati o danneggiati. Quello appena inaugurato nel villaggetto di Lobuche, poco distante dalla «Piramide», il centro di ricerca italiano a 5.000 metri gestito dal gruppo di Da Polenza, è caduto per metà. Molti sherpa stanno abbandonando in fretta e furia le spedizioni per andare a vedere cosa è capitato alle loro famiglie. Pare siano danneggiate anche numerose abitazioni di Namche Bazar, il villaggio più grande sul tragitto verso l’Everest. Lukla è in ginocchio, le comunicazioni aeree bloccate. Frane e smottamenti minacciano i sentieri verso valle. Gli stessi problemi sono centuplicati più vicino all’epicentro del sisma, nella zona di Pokhara. Qui il flusso del turismo straniero è tradizionalmente più rilevante. Tanti vengono a godersi il clima temperato attorno al lago che lambisce la città. Da qui parte anche il popolare trekking attorno all’Annapurna. L’autunno scorso vi morirono 32 tra trekkinisti e sherpa per una tempesta di neve. Ma oggi il bilancio delle vittime nei villaggi attorno all’Annapurna pare sia molto più grave.
Incognite «Le valli più remote sono inaccessibili. Ma gli sherpa partono per cercare i propri cari»