Quel museo a cielo aperto fatto di templi e pagode
Èstatodevastato uno dei patrimoni artistici più importanti dell’Asia. L’imponente Bhimsen Tower, alta oltre 60 metri, è crollata. Ma è tutto l’universo artistico della valle di Kathmandu, capitale del Nepal, ad essere stato aggredito. Il valore culturale di questi luoghi è immenso.
Certo il primo pensiero è per la tragedia umana. A quelle centinaia, forse migliaia, di persone uccise dai due brividi che hanno attraversato il corpo della Terra nel cuore della valle di Kathmandu. Ma oltre al lutto umano siamo in presenza di un’altra tragedia. Quella architettonica, che ha devastato uno dei patrimoni artistici più importanti dell’Asia. È crollata l’imponente Bhimsen Tower, la torre di Dharahara, alta oltre 60 metri, già restaurata dall’Unesco dopo il terremoto del 1934. Ma è tutto l’universo artistico della valle di Kathmandu ad essere stato aggredito dal sisma. Il valore culturale di questi luoghi è immenso: la capitale del Nepal e le vicine cittadine di Patan, Badghaon, Pasupatinath, custodiscono tesori di valore inestimabile e costituiscono una sorta di museo all’aperto dell’architettura asiatica, in modo particolare di quella religiosa. La qualità e la quantità delle opere d’arte in quei luoghi ha dell’incredibile. Costruiti in pietra e legno, templi di derivazione indiana sorgono al fianco di pagode a più piani frutto di una rara ed elegante sintesi indo-sino-nepalese. In questo momento non si ha ancora un quadro preciso di quali edifici siano crollati, quali danneggiati e quali abbiano resistito. Le prime immagini sono terrificanti. Cumuli di macerie segnano le piazze e le vie di quello che fino a ieri era uno dei più preziosi percorsi della memoria. Non trovo notizie del grande stupa di Swayambunath, sulla cima di una collina a 3 km dal centro di Kathmandu. È (era?) uno dei simboli del Nepal, con le quattro grandi paia di occhi del Buddha che guardano in ogni direzione. Nessuna notizia certa dell’altro grande monumento buddhista della valle, lo stupa di Bodnath. Ci si interroga sulla sorte di Pasupatinath, la «Benares nepalese» sulle rive del fiume Bhagmati. E su quella dei cinque stupa fatti erigere a Patan nel 250 a. C. dall’imperatore Ashoka, e del Palazzo Reale i cui cortili sono (erano?) un caleidoscopio di intarsi, nicchie, cornici di porte e finestre. E chissà qual è la sorte dei monumenti di Bhadgaon, la più antica città nepalese, e del tempio di Nyatapola che con i suoi cinque piani è (era?) il più alto del Nepal. Nelle prossime ore sarà possibile fare un bilancio più preciso. Di sicuro, sappiamo che non solo le donne e gli uomini del Nepal, ma tutti noi siamo oggi più poveri. * Esperto di Nepal e Tibet, autore della
biografia autorizzata del Dalai Lama