La terra che trema a ottomila metri A me è successo sul Nanga Parbat
Non c’è tragedia peggiore per un Paese poverissimo come il Nepal, con case fragili che si sbriciolano alla prima scossa, non come le nostre. Il fatto è ancora più drammatico perché le informazioni per ora arrivano dai grandi centri, non sappiamo ancora nulla di cosa possa essere successo in montagna, dove la gente è ancora più povera e dove certi pendii sono così ripidi da aver sicuramente provocato delle frane. So cosa vuol dire trovarsi in montagna nel bel mezzo di un terremoto. Mi è successo nel 1978, alla mia prima solitaria degli ottomila metri, a metà parete sul Nanga Parbat: mi ero appena svegliato, alle 5 del mattino, e stavo preparando il tè ancora dentro la tenda. A un certo punto ha iniziato a tremare tutto e ho visto cadere milioni di metri cubi di ghiaccio in un solo colpo. Mi sono salvato perché avevo piantato la tenda al riparo. E dopo, piccola consolazione, potevo salire senza molta paura perché il ghiaccio friabile era già caduto. Un sisma in montagna — soprattutto su quelle vette — è molto pericoloso. Il riscaldamento globale ha creato dei grandi laghi sotto ai ghiacciai: il terremoto potrebbe aver rotto queste dighe naturali e aver travolto la valle, portandosi via persone e case. Ho paura che le vittime saranno ancora di più, purtroppo. Anche perché in Nepal le notizie non arrivano subito, la gente è troppo dispersa. Più passeranno le ore e più conosceremo l’entità della tragedia. Io nel mio piccolo, con la mia fondazione in alta montagna, posso ospitare qualche famiglia senza più casa. Noi andiamo in montagna perché ci piace e ci prendiamo pure dei rischi, ma siamo noi a farlo. Ma quella povera gente è costretta a vivere in angoli così impoveriti, non ha possibilità di scelta.