Il grido di Kiev: «Ci invadono Schierate i caschi blu al confine»
dal nostro inviato
Sventola sul pennone più alto, nel gelido mattino di aprile: è la bandiera rossa e nera del Pravy Sektor, il Settore di Destra, la formazione neofascista protagonista degli scontri più violenti nei giorni della rivoluzione ucraina del 2014 e ancor oggi ombra scura della fragile democrazia di Kiev. Siamo a una ventina di chilometri dalla capitale, alla Mezhyhirya, la residenza di Viktor Yanukovich, l’ex presidente filorusso cacciato a furor di popolo. Centoquaranta ettari di tenuta fra parchi, ruscelli, zoo, eliporti e magioni dai rubinetti d’oro arredate nel più pacchiano stile dittatorial-hollywoodiano. A montare la guardia a saloni, saune e palestre ci sono i militanti dell’ultradestra, avvolti nelle bandiere a mo’ di mantelli: perché questo è un luogo di nessuno, che lo Stato non è riuscito a confiscare. La proprietà è intestata a un prestanome, che non è possibile ricollegare a Yanukovich: il quale un giorno, chissà, potrebbe pure rifarsi vivo.
Ecco, la Mezhyhirya è la metafora di un Paese rimasto anch’esso in un limbo, terra di nessuno senza insegne nel centro di Kiev, illustrano con una serie di slides quello che si starebbe preparando: «Secondo le nostre informazioni le truppe russe schierate lungo i confini hanno raggiunto il massimo livello di capacità dallo scoppio della crisi: sono in grado di sferrare un’offensiva in qualsiasi momento». Affermazioni corroborate anche dall’intelligence americana, secondo cui i soldati di Mosca si stanno ammassando nell’area a ridosso del Donbass.
Ancora più esplicito l’allarme che lancia Andriy Parubiy, l’uomo che fu responsabile dell’organizzazione militare dei dimostranti sulla Maidan, la piazza della rivoluzione, e che ora siede come vicepresidente del Parlamento: «Ci aspettiamo un’azione di destabilizzazione da parte della Russia a ridosso delle celebrazioni del 9 maggio, per l’anniversario della Seconda guerra mondiale». Parubiy non si fa illusioni sul futuro: «Putin può essere fermato solo con la forza: non è possibile convincerlo con argomenti razionali, lui scambia i negoziati per debolezza».
Più prudente si atteggia Arseniy Yatseniuk, il dinamico primo ministro quarantenne che ha un filo diretto con gli americani: «Penso che Putin aspetterà fino alla fine di giugno — ci dice nella sua residenza —. Intanto ha cambiato tattica e toni, si mostra più accomodante perché pensa che le sanzioni possano essere allentate fra un paio di mesi». Ma anche il premier non azzarda scommesse sul domani, neppure a lungo termine: «Putin non vuole nulla di buono per il mio Paese. Vuole che l’Ucraina diventi uno Stato fallito, perché altrimenti sarà lui a fallire. E non mi faccio troppe aspettative per un dopo Putin: i leader a Mosca sono tutti nazionalisti, la Russia sarà sempre la Russia».
Yatseniuk è scettico sulla possibilità di realizzare gli accordi di pace raggiunti a Minsk lo scorso febbraio: il cessate il fuoco resta fragile, ci sono morti e feriti al fronte ogni giorno che passa. E la soluzione diplomatica in cui l’Europa continua a credere ha bisogno di un piano B: che significa, per il premier ucraino, prepararsi a sanzioni più dure, fino al blocco di ogni investimento e di ogni cooperazione militare e industriale con la Russia. Il problema è però la capacità dell’Europa di restare unita di fronte a un simile scenario, visti i tentennamenti di diversi Paesi, Italia compresa. E qui Yatseniuk fa una lunga pausa, prima di scandire in tono grave: «Non ho dubbi che l’Italia resterà dalla parte dell’Ucraina».
È questo il messaggio che domani i leader di Kiev porgeranno agli inviati di Bruxelles: che l’Ucraina potrà avere successo soltanto col supporto europeo. «Perché il Cremlino fa la guerra anche contro di voi, contro i valori occidentali» sottolinea Yatseniuk. Un’idea ripetuta a Kiev come un mantra da tutti gli interlocutori, che si vedono come i difensori della civiltà occidentale minacciata dall’aggressione «euroasiatica» che viene dall’Est. Anche per questo chiedono all’Europa di sbloccare la fornitura diretta di armi: «Lo so che non tutti sono d’accordo su questo — ammette Yatseniuk — ma noi proteggiamo anche voi. Nessun Paese dovrebbe mettere veti».
Dall’altro lato, però, a Bruxelles si aspettano decisi passi avanti sulla strada delle riforme politiche ed economiche. Ed è per questo che nelle ultime settimane il governo ucraino ha cominciato a muoversi concretamente contro il sistema di oligarchie e corruzione che strangola la vita del Paese. Ai vertici dell’amministrazione presidenziale, i più stretti consiglieri del capo dello Stato Viktor Poroshenko sono ottimisti: «L’era degli oligarchi è finita: sono stati indeboliti dalla crisi e la società stessa non vuole più vivere in un sistema dominato da loro. Stiamo cambiando le leggi, senza ricorrere alla violenza: entro l’anno prossimo non ci saranno più oligarchi un Ucraina».
La strada delle riforme non è certo indolore: «Negli ultimi 15 mesi abbiamo preso molte decisioni impopolari in economia — ricorda il premier Yatseniuk —. Abbiamo aumentato le tasse, eliminato le elusioni fiscali, cacciato il 10 per cento dei funzionari pubblici, alzato le tariffe energetiche, ridotto i benefit sociali. Ora ci aspettiamo che i creditori esteri siano cooperativi nei nostri confronti. E che l’Europa si faccia garante degli investimenti nel nostro Paese».
La lotta alla corruzione e la battaglia per trasformare la struttura economica dell’Ucraina trova una coorte di sostenitori in un tessuto di Ong animate da giovani attivisti che pungolano il governo a fare sempre di più. Anche perché il successo su questo fronte è visto come la chiave per riprendersi le regioni separatiste russofone: «Se la tregua regge — ragionano i consiglieri del presidente Poroshenko — in un anno o poco più, grazie all’attrattiva economica e alla decentralizzazione, potremmo recuperare i territori dell’Est. Nello scenario peggiore ci vorranno al massimo tre-cinque anni. Ma per farlo è necessario chiudere la frontiera con la Russia e ottenere il ritiro delle armi». Ed è qui che torna in campo la Ue: la missione attuale dell’Ocse per monitorare il cessate il fuoco è considerata da Kiev inefficace. «Vogliamo un contingente di peacekeeper veri, schierati sulla linea del fronte. Entro giugno». Vedremo da domani se l’Europa sarà pronta a scendere in campo.
Il premier Yatseniuk Putin ha cambiato tattica e toni ma vuole solo che l’Ucraina diventi uno Stato fallito