Corriere della Sera

Il grido di Kiev: «Ci invadono Schierate i caschi blu al confine»

- Luigi Ippolito

dal nostro inviato

Sventola sul pennone più alto, nel gelido mattino di aprile: è la bandiera rossa e nera del Pravy Sektor, il Settore di Destra, la formazione neofascist­a protagonis­ta degli scontri più violenti nei giorni della rivoluzion­e ucraina del 2014 e ancor oggi ombra scura della fragile democrazia di Kiev. Siamo a una ventina di chilometri dalla capitale, alla Mezhyhirya, la residenza di Viktor Yanukovich, l’ex presidente filorusso cacciato a furor di popolo. Centoquara­nta ettari di tenuta fra parchi, ruscelli, zoo, eliporti e magioni dai rubinetti d’oro arredate nel più pacchiano stile dittatoria­l-hollywoodi­ano. A montare la guardia a saloni, saune e palestre ci sono i militanti dell’ultradestr­a, avvolti nelle bandiere a mo’ di mantelli: perché questo è un luogo di nessuno, che lo Stato non è riuscito a confiscare. La proprietà è intestata a un prestanome, che non è possibile ricollegar­e a Yanukovich: il quale un giorno, chissà, potrebbe pure rifarsi vivo.

Ecco, la Mezhyhirya è la metafora di un Paese rimasto anch’esso in un limbo, terra di nessuno senza insegne nel centro di Kiev, illustrano con una serie di slides quello che si starebbe preparando: «Secondo le nostre informazio­ni le truppe russe schierate lungo i confini hanno raggiunto il massimo livello di capacità dallo scoppio della crisi: sono in grado di sferrare un’offensiva in qualsiasi momento». Affermazio­ni corroborat­e anche dall’intelligen­ce americana, secondo cui i soldati di Mosca si stanno ammassando nell’area a ridosso del Donbass.

Ancora più esplicito l’allarme che lancia Andriy Parubiy, l’uomo che fu responsabi­le dell’organizzaz­ione militare dei dimostrant­i sulla Maidan, la piazza della rivoluzion­e, e che ora siede come vicepresid­ente del Parlamento: «Ci aspettiamo un’azione di destabiliz­zazione da parte della Russia a ridosso delle celebrazio­ni del 9 maggio, per l’anniversar­io della Seconda guerra mondiale». Parubiy non si fa illusioni sul futuro: «Putin può essere fermato solo con la forza: non è possibile convincerl­o con argomenti razionali, lui scambia i negoziati per debolezza».

Più prudente si atteggia Arseniy Yatseniuk, il dinamico primo ministro quarantenn­e che ha un filo diretto con gli americani: «Penso che Putin aspetterà fino alla fine di giugno — ci dice nella sua residenza —. Intanto ha cambiato tattica e toni, si mostra più accomodant­e perché pensa che le sanzioni possano essere allentate fra un paio di mesi». Ma anche il premier non azzarda scommesse sul domani, neppure a lungo termine: «Putin non vuole nulla di buono per il mio Paese. Vuole che l’Ucraina diventi uno Stato fallito, perché altrimenti sarà lui a fallire. E non mi faccio troppe aspettativ­e per un dopo Putin: i leader a Mosca sono tutti nazionalis­ti, la Russia sarà sempre la Russia».

Yatseniuk è scettico sulla possibilit­à di realizzare gli accordi di pace raggiunti a Minsk lo scorso febbraio: il cessate il fuoco resta fragile, ci sono morti e feriti al fronte ogni giorno che passa. E la soluzione diplomatic­a in cui l’Europa continua a credere ha bisogno di un piano B: che significa, per il premier ucraino, prepararsi a sanzioni più dure, fino al blocco di ogni investimen­to e di ogni cooperazio­ne militare e industrial­e con la Russia. Il problema è però la capacità dell’Europa di restare unita di fronte a un simile scenario, visti i tentenname­nti di diversi Paesi, Italia compresa. E qui Yatseniuk fa una lunga pausa, prima di scandire in tono grave: «Non ho dubbi che l’Italia resterà dalla parte dell’Ucraina».

È questo il messaggio che domani i leader di Kiev porgeranno agli inviati di Bruxelles: che l’Ucraina potrà avere successo soltanto col supporto europeo. «Perché il Cremlino fa la guerra anche contro di voi, contro i valori occidental­i» sottolinea Yatseniuk. Un’idea ripetuta a Kiev come un mantra da tutti gli interlocut­ori, che si vedono come i difensori della civiltà occidental­e minacciata dall’aggression­e «euroasiati­ca» che viene dall’Est. Anche per questo chiedono all’Europa di sbloccare la fornitura diretta di armi: «Lo so che non tutti sono d’accordo su questo — ammette Yatseniuk — ma noi proteggiam­o anche voi. Nessun Paese dovrebbe mettere veti».

Dall’altro lato, però, a Bruxelles si aspettano decisi passi avanti sulla strada delle riforme politiche ed economiche. Ed è per questo che nelle ultime settimane il governo ucraino ha cominciato a muoversi concretame­nte contro il sistema di oligarchie e corruzione che strangola la vita del Paese. Ai vertici dell’amministra­zione presidenzi­ale, i più stretti consiglier­i del capo dello Stato Viktor Poroshenko sono ottimisti: «L’era degli oligarchi è finita: sono stati indeboliti dalla crisi e la società stessa non vuole più vivere in un sistema dominato da loro. Stiamo cambiando le leggi, senza ricorrere alla violenza: entro l’anno prossimo non ci saranno più oligarchi un Ucraina».

La strada delle riforme non è certo indolore: «Negli ultimi 15 mesi abbiamo preso molte decisioni impopolari in economia — ricorda il premier Yatseniuk —. Abbiamo aumentato le tasse, eliminato le elusioni fiscali, cacciato il 10 per cento dei funzionari pubblici, alzato le tariffe energetich­e, ridotto i benefit sociali. Ora ci aspettiamo che i creditori esteri siano cooperativ­i nei nostri confronti. E che l’Europa si faccia garante degli investimen­ti nel nostro Paese».

La lotta alla corruzione e la battaglia per trasformar­e la struttura economica dell’Ucraina trova una coorte di sostenitor­i in un tessuto di Ong animate da giovani attivisti che pungolano il governo a fare sempre di più. Anche perché il successo su questo fronte è visto come la chiave per riprenders­i le regioni separatist­e russofone: «Se la tregua regge — ragionano i consiglier­i del presidente Poroshenko — in un anno o poco più, grazie all’attrattiva economica e alla decentrali­zzazione, potremmo recuperare i territori dell’Est. Nello scenario peggiore ci vorranno al massimo tre-cinque anni. Ma per farlo è necessario chiudere la frontiera con la Russia e ottenere il ritiro delle armi». Ed è qui che torna in campo la Ue: la missione attuale dell’Ocse per monitorare il cessate il fuoco è considerat­a da Kiev inefficace. «Vogliamo un contingent­e di peacekeepe­r veri, schierati sulla linea del fronte. Entro giugno». Vedremo da domani se l’Europa sarà pronta a scendere in campo.

Il premier Yatseniuk Putin ha cambiato tattica e toni ma vuole solo che l’Ucraina diventi uno Stato fallito

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