Corriere della Sera

Cinquanta sfumature di giallo

- Riccardo Bruno

A Genova li stanno mettendo a posto in queste settimane. Nei semafori pedonali il «giallo» viene allungato, per evitare che ci si ritrovi in mezzo alla strada quando le auto schizzano con il verde. «Serve a tutelare soprattutt­o gli utenti più deboli, anziani o mamme con passeggini» spiega Anna Maria Dagnino, assessore cittadina alla Mobilità. E ammette: «È un adeguament­o graduale, per finire ci mancano ancora due semafori».

La regola, che impone di calcolare mediamente un secondo per ogni metro da percorrere, per la verità non è nuovissima. È stata prevista nel 1992 — ben 23 anni fa — dal regolament­o del Codice della strada che chiedeva di armonizzar­e al più presto tutti gli impianti. za viene prima di tutto» aggiunge il professor Pratelli.

Le cifre sono drammatich­e: il 42% dei morti in città per incidenti stradali sono pedoni o ciclisti; un pedone su tre perde la vita mentre attraversa sulle strisce (lì dove si sente più sicuro e abbassa l’attenzione), oltre il 50% delle vittime ha più di 65 anni. In dieci anni, oltre 7.000 morti e 200.000 mila feriti.

Non è dunque una banale questione cromatica, la durata e l’efficacia di un semaforo servono a misurare la vivibilità dei nostri centri, il grado di civiltà di una società. «Le nostre città sono delle giungle — riflette Angela Cattaneo, docente di Sociologia della sicurezza sociale alla Sapienza —. E gli attori sociali (pedoni, ciclisti e automobili­sti) si fanno la guerra vestendo di volta in volta i ruoli di vittima o di carnefice».

Certo che regole poco chiare e male applicate non aiutano. «Il semaforo viene installato e abbandonat­o — conclude il professor Pratelli —. Dopo vent’anni a volte tutto è cambiato, magari attorno è nato un quartiere, ma lui funziona sempre allo stesso modo».

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