Corriere della Sera

Le diverse visioni del mondo sono l’essenza di ogni società aperta Negare la presenza di scuole non statali distrugger­ebbe l’esistenza di pezzi della nostra storia migliore

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difficile far comprender­e a tanti laicisti statalisti, e quindi antilibera­li e conservato­ri, che quei pochi cattolici ancora schierati a difesa della scuola libera — e non solo loro, ma anche i sostenitor­i delle scuole laiche dell’Associazio­ne nazionale istituti non statali di educazione e istruzione (Aninsei) — lottano per una grande cosa: la libertà d’insegnamen­to. E a quanti, in particolar­e, sostengono che le scuole paritarie a orientamen­to confession­ale dovrebbero venir cancellate in uno Stato laico va ricordato che proibire e soffocare le differenze può essere (come affermato anni fa dall’allora arcivescov­o di Parigi, cardinal Lustiger) la prima causa della loro violenta esplosione.

Le diversità di visioni del mondo e di valori scelti sono l’essenza della società aperta. Ma davvero, allora, sarebbe una grande conquista di libertà per l’Italia la scomparsa delle scuole non statali, laiche e cattoliche, o anche del Liceo israelitic­o di Roma e Milano? La società aperta è chiusa solo agli intolleran­ti. Di conseguenz­a, non esistono ragioni per proibire le scuole a orientamen­to confession­ale, se queste si inseriscon­o nel quadro dei valori della Costituzio­ne. Negare la presenza delle scuole a orientamen­to confession­ale significa distrugger­e l’esistenza di pezzi della nostra migliore storia e proibirne sviluppi futuri. Ed è opportuno far presente che per esempio in Belgio, accanto a scuole libere di orientamen­to cattolico e protestant­e, troviamo anche istituti gestiti da autorità religiose ebraiche e islamiche; scuole induiste e islamiche sono in funzione nei Paesi Bassi; e istituti neutri, cattolici, protestant­i e islamici troviamo in Germania.

Le cose non si fermano qui, giacché lo statalista laicista tende a precisare che le scuole a orientamen­to confession­ale sarebbero — ex definition­e — centri di formazione acritica. Dunque, per esempio, la «scuola cattolica» consistere­bbe di professori dogmatici e studenti acritici. Tutto questo sulla base dell’idea che un credente non può che essere acritico.

Ma, guarda caso, Newton era cristiano, e lo fu Kant, e prima di loro lo furono Cartesio e Pascal. Dunque: Cartesio, Pascal, Newton e Kant — tutti acritici perché cristiani? Acritici: Agostino, Tommaso, Scoto, Occam? E davvero critici solo gli statalisti anticleric­ali? Hilary Putman è un ebreo osservante: anch’egli, dunque, vittima dell’indottrina­mento e mente acritica, sprofondat­o nel più bieco dogmatismo e un pericolo per la democrazia?

I laicisti dovrebbero essere più attenti, meno dogmatici e meno acritici nei loro pronunciam­enti e nelle loro scomuniche. Il laicismo, subito coniugato con lo statalismo, contrasta con la prospettiv­a laica della concezione liberale. Il laico non è un laicista. E un laicista non è un vero liberale. Lo Stato liberale, cioè laico, non ha un agnosticis­mo da privilegia­re o da imporre. L’agnosticis­mo — che poi si impasta con il rifiuto di ogni fede rivelata — è una concezione filosofica che, in una autentica società aperta, convive con altre concezioni filosofich­e e religiose della vita. È una concezione rispettabi­le, ma non può pretendere di essere onnivora, di ergersi a «religione di Stato» e a giudice inappellab­ile di altre scelte di concezioni della vita. Non può nemmeno porsi come unica prospettiv­a del sistema scolastico, e presumere di cancellare da questo sistema quello che secoli di storia hanno costruito e ci hanno tramandato: le visioni religiose della vita e dell’umano destino — orizzonti di senso e di valori entro i quali spendere la vita. Un sistema formativo che al suo interno non favorisce l’istituzion­e di scuole a orientamen­to religioso è frutto di menti indottrina­te e dogmatiche, cariche di clericalis­mo rovesciato.

Si ripete, sempre da più parti, che le scuole private — e segnatamen­te quelle cattoliche — sarebbero «luoghi di indottrina­mento»; a differenza di quelle statali viste come centri di costruzion­e di menti critiche. È chiaro che siamo di fronte a un’accusa generica e genericame­nte infamante. Insegnanti critici si trovano in scuole statali e in scuole non statali; così come guarnigion­i di insegnanti dogmatici si trovano in scuole statali e non statali. Solo che dagli insegnanti dogmatici delle scuole statali le famiglie che non hanno la possibilit­à di mandare i propri figli in altre scuole non possono facilmente difendersi. E che il dogmatismo abbia costituito una malattia grave di tanti docenti, soprattutt­o negli anni passati, è testimonia­to dall’estesa diffusione di non pochi libri di testo — per esempio, di filosofia, letteratur­a, storia — non costruiti di certo da menti scientific­he, aperte, capaci di dubbi e problemati­che: libri di testo che non hanno sicurament­e contribuit­o a formare menti critiche.

Altra obiezione provenient­e da più parti: la scuola deve rimanere saldamente e totalmente nelle mani dello Stato a motivo del fatto che soltanto la scuola pubblica sarebbe in grado di garantire la formazione del cittadino. E qui è ovvio che dietro a simile presa di posizione preme l’eterna tentazione della Stato etico, di uno Stato che si arroga il diritto di formare le menti dei propri sudditi, sottraendo i giovani alle comunità naturali e volontarie, prima tra tutte quella della famiglia.

E a questo punto val la pena insistere sul fatto che, senza parità economica, la parità giuridica tra scuole statali e scuole non statali equivale sempliceme­nte a una sentenza di morte per queste ultime. Ed ecco, allora, che l’introduzio­ne del buono-scuola attuerebbe l’unica soluzione compatibil­e con le regole della società aperta, dando ai cittadini la possibilit­à di scegliere tra scuole diverse quella che è più affine alle proprie convinzion­i culturali, filosofich­e, religiose.

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