Tutela del paesaggio, «cambiareverso»
Il nostro Paese, anche agli sguardi meno attenti, offre il desolante spettacolo di un paesaggio spesso rovinato e assalito da decenni di incontrollata cementificazione. Il nostro territorio è a rischio come anche recenti tragici eventi hanno dimostrato e l’abusivismo non accenna a diminuire. Sarebbero sufficienti queste brevi considerazioni per sollecitare una domanda: come mai nonostante l’azione, ritenuta da molti punitiva, delle nostre soprintendenze, le indicazioni di un eccellente Codice dei Beni culturali, le norme, i vincoli si è arrivati al triste primato che ci vede tra i primi Paesi in Europa ad avere distrutto il proprio paesaggio? La risposta non è scontata. Le soprintendenze nel tempo sono state depauperate di mezzi e risorse: devono sorvegliare territori spesso estesissimi, anche costrette al rispetto di tempi che certamente rispondono al sacrosanto diritto dei cittadini di avere un’amministrazione pubblica efficiente ma difficilmente si conciliano con le loro difficoltà oggettive. Le norme si intrecciano in un conflitto di competenze che vede la materia paesaggistica, spesso contrapposta ai piani urbanistici, uscirne perdente. I piani paesaggistici regionali stentano ad affermarsi non essendo obbligatori tranne alcuni esempi virtuosi tra i quali recentemente la Toscana e meno recentemente la Puglia. Il risultato di tutto ciò è uno solo: l’inarrestabile danno a un patrimonio collettivo, un danno irreversibile. Si deve quindi urgentemente «cambiareverso»: ma attenzione a scegliere «il verso giusto». Semplificare si, ma non sottrarre ambiti alla tutela del ministero. Facilitare il rapporto tra cittadini e Stato non esautorando dall’azione di tutela il Mibact, ma anzi coinvolgendolo e dotandolo seriamente di quelle forze interne che gli permetterebbero di operare. Il ministero dei Beni culturali e Turismo è il custode del patrimonio nazionale: custode quindi dell’identità collettiva. Non è poco. E