Corriere della Sera

Folini, l’angelo degli alpinisti: «Con 3 o 4 persone per volta volerò tra le pareti ghiacciate»

- di Lorenzo Cremonesi

«Sul primo volo di andata ai 6.500 metri del campo due avrò a bordo alcune taniche di benzina che lascerò tra le tende. Serviranno per rifornirmi in loco ai viaggi successivi. Così potrò volare leggero e ogni volta riportare a valle tre o quattro alpinisti a seconda degli zaini che avranno con loro». Sta già mentalment­e preparando la sua prossima missione Maurizio Folini. Questa mattina alle sei e mezza arriva a Kathmandu e subito sarà alla guida del suo elicottero francese « Airbus As350» diretto sopra il campo base dell’Everest. Valtelline­se, cinquanten­ne, una lunga esperienza di elicotteri­sta per il soccorso alpino, dal 2010 impegnato nei recuperi difficili sulle «terre alte» dell’Himalaya per la compagnia nepalese Fishtail Air, Folini è davvero l’angelo degli alpinisti in difficoltà.

Un titolo guadagnato sul campo a suo personale rischio e pericolo. Dal maggio 2013 detiene il primato dell’elisoccors­o più alto mai effettuato. «Oltre 7.400 metri d’altezza. Tra il campo tre e quattro, sempre sul versante nepalese alla via normale dell’Everest», ci diceva ieri per telefono mentre scendeva dalla Valtellina per prendere l’aereo diretto in Nepal. Il dato è da capogiro. In genere gli elicotteri tendono a volare sotto i 6.000 metri, oltre quella quota la rarefazion­e dell’ossigeno nell’aria rende complicati atterraggi e decolli, il motore perde gran parte della sua efficienza. Ma due anni fa un alpinista nepalo-canadese trentenne privo di braccia era riuscito a raggiunger­e gli 8.850 metri della cima sul «tetto del mondo». Suo fine era rivendicar­e il primato della forza di volontà sugli handicap fisici nel motto: «disability is not inability». Ma in discesa si sentì male. Tanto che, via satellitar­e, chiamò il soccorso mentre ancora si trovava in una zona molto ripida del ghiacciaio. Folini superò ogni limite per riuscire ad agganciare l’infortunat­o al cavo legato al verricello dell’elicottero e riportarlo a valle. «Maurizio è davvero un mostro di bravura! Un grandissim­o pilota», esclamò ammirato Simone Moro, uno dei più grandi alpinisti italiani che a sua volta da tempo lavora nell’elisoccors­o e allora dirigeva il team di Folini.

«Oggi credo che la nostra missione dovrebbe essere tecnicamen­te più semplice di quella di due anni fa. Conosco bene la zona del campo due. Dovrò stare lontano dalle pareti ghiacciate che la circondano, visto che il terremoto ha scatenato frane e valanghe. Gli sherpa sul posto hanno approntato la piazzola di atterraggi­o per un altro elicottero che questa mattina (ieri per chi legge, ndr) ha già condotto a valle una ventina di alpinisti in quattro o cinque viaggi, poi però interrotti a causa del peggiorame­nto del meteo», spiega. Le incognite sono tante. Ci sono ancora un centinaio di alpinisti, in maggioranz­a sherpa nepalesi, intrappola­ti nel dedalo di seracchi e crepacci che caratteriz­zano la «Icefall» appena sopra il campo base. Non possono scendere con le loro forze. Le vie di passaggio sono interrotte, sulle loro teste incombono i rischi di nuovi smottament­i. L’unica via di salvezza è quella dell’aria. Continua Folini: «I miei recuperi dipenderan­no dalle condizioni del tempo. L’elicotteri­sta che ha volato nelle prime ore ai campi alti è il mio collega svizzero Reto Reusch. E ha dovuto smettere a causa della visibilità ridotta. Nelle prossime ore sembra che il meteo debba migliorare. Ma il nostro problema maggiore sarà il caos. Il Nepal già per se stesso ha grandi difficoltà organizzat­ive in periodi normali. Tutto sarà peggiore e più difficile nell’emergenza».

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In quota Maurizio Folini, cinquanten­ne, valtelline­se, veterano del Nepal

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