Ansia per quattro speleologi Il loro villaggio spazzato via
L’ultima telefonata con i familiari in Italia mezz’ora prima della scossa
L’ultima telefonata mezz’ora prima della scossa che alle 11.56 locali di sabato, le 8.11 in Italia, ha devastato il Nepal. Da allora non si hanno più notizie di quattro speleologi italiani, partiti il 15 aprile per esplorare alcuni torrenti nel Parco di Langtang, al confine con il Tibet e circa 130 chilometri a nord di Kathmandu. Sono Giuseppe «Pino» Antonini, 53 anni, di Ancona, Gigliola Mancinelli, 50, anche lei di Ancona, medico anestesista, Oskar Piazza, 55, alpinista del Trentino Alto Adige, e Giovanni «Nanni» Pizzorni, 52 anni, genovese, torrentista. A parlare con loro, con il satellitare perché i cellulari in quella zona non prendono, è stata la compagna di Antonini, Paola. «Il tempo è brutto e per questo oggi non siamo entrati nel torrente — le ha detto Pino —. Per il resto va tutto bene. Salutami tutti». Ieri Paola è rimasta in attesa di una chiamata: «Ma non ho più avuto contatti», dice.
Del villaggio di Langtang, secondo le autorità locali, non è rimasta traccia: una valanga ha seppellito gran parte della vallata. « Abbiamo visto paesi spazzati via, altri che sembravano deserti» ha detto al sito nepalese Annapurna Post l’elicotterista Bibek Khadka, che ha sorvolato la valle. La tv locale Ntv riferisce di migliaia di morti ancora non entrati nelle statistiche ufficiali. E il capo del distretto, Uddhav Prasad Bhattarai, ha detto al quotidiano di Kathmandu My Republica, che l’esercito «è riuscito a salvare solo alcuni turisti e abitanti del villaggio » , mentre « l’unica strada esistente è quasi completamente bloccata» e «il 90% delle case del distretto hanno subito danni».
Gli amici e i parenti degli speleologi italiani sperano che a impedire le comunicazioni siano proprio le infrastrutture distrutte. Sono circa 300 gli italiani già rintracciati dall’Unità di crisi della Farnesina nelle ultime ore. «Nella zona di Langtang non c’è più corrente elettrica a causa del terremoto — dice la mamma di Antonini, Romilda, dalla sua casa di Ancona — ed è per questo forse che non riescono a mettersi in contatto con noi. Siamo in attesa di notizie dall’unità di crisi della Farnesina, che ha promesso di tenerci aggiornati. Aspettiamo il loro ritorno».
Anche normalmente la zona di Langtang non è raggiungibile in auto e i soccorsi, già scarsi, sono difficilissimi. «Erano in una zona a 25 chilometri di cammino dalla strada più vicina — conferma Paolo Giannelli, dell’Aic, l’Associazione italiana Canyoning di cui fa parte Pizzorni —. Avrebbero dovuto esplorare alcuni torrenti con tecniche alpinistiche, si procede in acqua con la muta, nuotando, tuffandosi, e scendendo con le corde. Sono tutti e quattro molto esperti, hanno fatto centinaia di spedizioni così».
Nanni Pizzorni è uno dei più noti torrentisti italiani, istruttore della Scuola nazionale tecnici soccorso in forra (cioè nei canyon) e speleologo: «Era già stato in Nepal proprio per un raduno internazionale dei torrentisti», dice Giannelli.
Anche gli altri tre fanno parte del Soccorso alpino. Pino Antonini è specializzato nelle operazioni da compiere in grotte ed è direttore della Scuola nazionale forre. Alcuni anni fa, raccontano i suoi amici, è riuscito a scendere nell’abisso di Krubera, la grotta più profonda del mondo (2.197 metri).
Gigliola Mancinelli è invece un medico anestesista e lavora per l’elisoccorso degli ospedali riuniti di Ancona. Come tecnico speleologo, ha partecipato a decine di missioni esplorative. «Due amici e due persone straordinarie» dice di loro Paola Riccio, presidente del Soccorso Alpino e speleologico marchigiano.
Insegna alla scuola nazionale forre, di cui è il vice direttore, anche Oskar Piazza, 55 anni, trentino, esperto alpinista. È specializzato negli Ottomila, tra le imprese di cui va più orgoglioso ci sono le scalate in velocità del Cho Oyu (8.201 metri) e del Gasherbrum I (8.068 metri). Ora amici e familiari si aggrappano alla speranza che la loro esperienza possa aiutarli a tornare a casa.