Corriere della Sera

Il viaggio in tenda dei due fratelli Silenzio di 30 ore poi la chiamata

- Marco Gasperetti

«Sono vivi e ora io ringrazio tutti voi e il mondo intero. Stanno bene, se dio vuole. So che sono vicini a Pokhara, a 200 chilometri da Kathmandu, in una zona di montagna. Non riuscivano a chiamare e per me e mio marito l’angoscia non passava mai. Guardavo le immagini del sisma alla tv e tremavo». L’angoscia per Dafi Krief, israeliana, madre dei fratelli fiorentini di 25 e 22 anni, Daniel ed Elia Lituani, è durata quasi 30 ore. «Non li sentivo da quattro giorni ma sapevo che non avevano il telefonino e in quei posti a volte è impossibil­e chiamare o mandare mail — spiega Dafi —. Poi il terremoto e l’ansia infinita. Cancellata poco dopo le 15 quando è arrivata una telefonata dalla Germania. Erano i genitori della ragazza che era partita con i miei figli e che è riuscita a contattarl­i. Ci hanno detto che stanno bene. Non sappiamo ancora quando torneranno ma siamo sereni». Il primo a dare ai giornalist­i la notizia della telefonata è stato il padre dei due ragazzi, Marco Lituani, fiorentino. È uscito dal laboratori­o di scultura, alla periferia di Firenze, emozionato e felice. Poche parole: «Stanno bene. Li aspettiamo». Poi a casa dalla moglie. Daniel era in Asia da più di un anno. Ad aiutare i più deboli, da volontario, come aveva fatto spesso in passato. Come il fratello Elia che nel marzo del 2012 era andato in Palestina, nonostante le origini israeliane della mamma, e quando era arrivato a Firenze su Facebook aveva scritto: «Tornato vivo!». Tre settimane fa aveva deciso di raggiunger­e in Nepal il fratello per trascorrer­e insieme un periodo di «vacanza-avventura» camminando verso l’Himalaya e pernottand­o in tenda. Il terremoto li ha sorpresi lì, a mille metri d’altezza, ma solo più tardi hanno capito che cosa era realmente accaduto e hanno cercato faticosame­nte di contattare i genitori.

La madre Sono vivi e stanno bene, si trovano a 200 chilometri dalla capitale

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