Corriere della Sera

I ritardi e l’orgoglio La gara per aiutare il «tempio» nepalese

- P. F.

Il dolore e l’orgoglio. Ma anche il silenzio e il lavoro. Nelle ore del dramma che sta vivendo il Nepal, viste dal cantiere Expo, è impossibil­e non restare toccati dalla muta sofferenza degli operai di Kathmandu alle prese con la corsa per finire il loro padiglione. Un tempio di legno antico e colonne scolpite a mano, con intarsi grandi quanto un cioccolati­no, da artigiani venuti apposta dal Nepal per fare il lavoro qui. Un ricamo all’uncinetto: una roba da monaci, di esasperant­e e paziente lentezza. L’unico lavoro di cui veramente si diceva, fino all’altro ieri, che «non lo finiranno mai». E sembrava che quello fosse, per quegli uomini, il peggiore dei problemi. Finché in pochi secondi la scaletta delle priorità crolla come quella loro torre lontana, sbriciolat­a dal sisma. Quattordic­i di loro sono ripartiti ieri perché hanno avuto morti in famiglia. Gli altri hanno ricevuto decine di offerte dagli operai dei padiglioni già ultimati: «Una mano per finire ve la diamo noi». Han risposto praticamen­te a gesti, perché la maggior parte di loro non parla che il proprio dialetto: «Grazie, finiremo da soli e ce la faremo». Il commissari­o unico dell’Expo, Giuseppe Sala, ci crede. E ha peraltro assicurato che la società garantirà assistenza concreta «ai lavoratori nepalesi colpiti dalla tragedia». Dal primo maggio partirà anche una raccolta di fondi per aiutare loro e le loro famiglie.

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