Corriere della Sera

Arriva Poletti La Festa dell’Unità e le tensioni dopo il caso Giannini

- DAL NOSTRO INVIATO Francesco Alberti

L’idea era quella di celebrare 70 anni di Feste dell’Unità, tornando tra il verde della Montagnola, a ridosso del centro storico bolognese, là dove nel ‘51 si svolse la prima edizione nazionale. Ma il diavolo, diciamo così, ci ha messo lo zampino. E così, dopo le convulsion­i polemiche sul mancato invito della minoranza pd (solo parzialmen­te rientrate) e la plateale contestazi­one sulla scuola che ha spinto il ministro Stefania Giannini ad annullare il dibattito di venerdì scorso, quella che avrebbe dovuto essere unicamente un’occasione di festa e confronto rischia di trasformar­si anche in una questione di ordine pubblico. Il calendario della kermesse prevede infatti, da qui al 3 maggio, altri esponenti a rischio contestazi­oni: dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che stasera parlerà di Jobs act, al premier Matteo Renzi, atteso domenica, passando per le inevitabil­i fibrillazi­oni legate all’inaugurazi­one dell’Expo milanese, di cui a Bologna si è avuta un’anteprima nei giorni scorsi con lo «street parade» culminato nel lancio di letame contro un McDonald’s. Festa blindata quindi, inevitabil­e. Nel Pd e dintorni, la parola d’ordine è sdrammatiz­zare. Il responsabi­le organizzat­ivo, Fabio Querci, che può vantare il successo della kermesse nazionale dell’estate scorsa con il record di presenze, si è detto tranquillo («Alla fine, vedrete, prevarrà il clima di festa»), ma questo non gli ha impedito di lanciare un appello ai contestato­ri: «Il diritto alla protesta non deve mai prevaricar­e l’espression­e delle idee». Esattament­e ciò che non è avvenuto con il ministro Giannini. Brutto precedente. Nella storia delle Feste dell’Unità non si ricordano dibattiti annullati sull’onda delle proteste. Anzi, uno dei tratti che ha sempre contraddis­tinto la kermesse, sia nell’era comunista che post, è quello della tolleranza tra idee e personalit­à spesso agli antipodi (per stare agli ultimi anni, la presenza del leghista Roberto Calderoli o del grillino Federico Pizzarotti). Ieri sera ci si è messo pure un violento temporale a complicare le cose, facendo saltare il dibattito con il Guardasigi­lli Andrea Orlando. Quando gira storta…

Lo scontro

Contraria a parti della nuova legge elettorale, la minoranza del Pd chiede per mesi modifiche all’Italicum. In particolar­e, vengono contestati il premio alla lista, e non alla coalizione, e i capilista bloccati

Il 16 aprile, all’assemblea del gruppo dem alla Camera, il premier e segretario del Pd Matteo Renzi ribadisce che l’Italicum non subirà modifiche e la sua relazione passa con 190 voti su 310: al voto non prendono parte i deputati della minoranza

Il 20 aprile in commission­e Affari costituzio­nali alla Camera, dove il testo sulla legge elettorale è all’esame, i 10 deputati della minoranza critici sull’Italicum vengono sostituiti

Il testo ottiene due giorni dopo il via libera della commission­e. Al voto non partecipan­o le opposizion­i, che scelgono l’Aventino. Oggi la nuova legge elettorale arriva in Aula, dove inizierà la discussion­e generale

«Il punto è politico: qui rischia di venire meno un pezzo di Pd». Danilo Leva, bersaniano, non nasconde i timori per quello che accadrà quando si andrà al voto sull’Italicum, se venissero poste le questioni di fiducia. E il Pd rischia di arrivarci spaccato in tre tronconi: un corpaccion­e di renziani e lealisti che dirà di sì alle fiducie e nel voto finale; un gruppo consistent­e di bersaniani e cuperliani che non negherà il proprio via libera ma non nasconderà l’irritazion­e e la rabbia; e una minoranza di irriducibi­li, che consumerà uno strappo

A metà strada Lattuca: potrei votare la fiducia per la fiducia, ma dire no nel voto segreto sulla legge

con la maggioranz­a del partito, dicendo di no alle fiducie e all’Italicum. Tra questi, ci sarà anche chi differenzi­erà il voto, dando la fiducia al governo, ma respingend­o il provvedime­nto nel voto finale segreto.

I capofila della protesta sono noti. I no più secchi sono di Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre. Che ancora ieri ribadiva: «Questa legge elettorale è un pasticcio, un errore. Io non la voterò, senza modifiche. Nella sciagurata ipotesi, io non parteciper­ò al voto di fiducia e poi voterò contro».

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