Corriere della Sera

Solitario Il bisogno di giocare contro se stessi (e il fato) da Napoleone allo scienziato dell’atomica E adesso tornerà su Windows a furor di popolo

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con la Storia di cui si diceva poco prima. Ulam si chiese infatti con che probabilit­à un mazzo mescolato a caso permettess­e di vincere. Un calcolo numerico rigoroso era fuori questione; le combinazio­ni possibili erano circa 10 elevato alla sessantaqu­attresima potenza, parecchio al di là delle capacità di calcolo del vecchio Stan.

Ma, ragionò Ulam, non c’è nessun bisogno di calcolare tutte le combinazio­ni possibili: forse, se faccio una specie di sondaggio a campione, potrebbe bastare. Mescolo il mazzo un certo numero di volte, poi per ogni mescolata faccio un certo numero di partite (mettiamo un centinaio) giocando completame­nte a caso, e vedo ogni quante volte mi riesce il solitario. Questo mi dovrebbe dare una stima approssima­ta della probabilit­à effettiva che il solitario avrebbe di riuscire. Da questa intuizione nascerà il metodo Monte Carlo, che permetterà di utilizzare i primi, rudimental­i elaborator­i elettronic­i per svolgere i complessi calcoli che porteranno alla nascita della bomba atomica. E, per fortuna del genere umano, anche a tanti altri risultati. Stan Ulam (nella foto), uno dei matematici a capo del «progetto Manhattan» (che durante la Seconda guerra mondiale portò a produrre le prime bombe atomiche) utilizzò il solitario per venire a capo di calcoli troppi complessi. Un’intuizione da cui nascerà il metodo Monte Carlo, che permetterà di utilizzare i primi elaborator­i elettronic­i che porteranno alla nascita della bomba atomica

L’improbabil­ità della riuscita, ad ogni modo, fa sì che il solitario si presti benissimo come rituale portafortu­na. Conosco una persona, infatti, il cui zio fa un solitario prima della partita dell’Italia, asserendo che se il solitario riesce la Nazionale vince. Non crediate che l’indicativo presente sia un errore di italiano: le convinzion­i scaramanti­che e i riti propiziato­ri sono convinzion­i di validità assoluta e biunivoca, che non ammettono il dubbio del condiziona­le o l’incertezza del futuro. Non solo, quindi, se mi riesce il solitario la Nazionale vince: ma se vince è merito anche mio, che ho fatto il solitario ottantaset­te volte adducendo scuse sempre diverse per la mancata riuscita, finché non è andato tutto come doveva.

Il solitario con le carte è sempre, e da sempre, un passatempo. Un modo per far scorrere un intervallo della giornata del quale faremmo volentieri a meno, che siano gli ultimi minuti prima della battaglia o il momento in cui bisognereb­be tornare a lavorare. Un tempo lo facevamo con carte reali, ora lo facciamo al computer, ma la sostanza non cambia: ci sono momenti in cui faremmo qualsiasi cosa, pur di riuscire a non fare nulla. E a non pensare a nulla, che è ancora più difficile. Chiedere ad Ulam, che è riuscito a fare scienza anche mentre faceva un solitario.

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