GLI INSULTI AGLI EBREI UNO STRAPPO A SINISTRA
sferrato una guerra non dichiarata, una guerra che ha avuto il suo esito finale nelle camere a gas dei campi di sterminio. Ma agli occhi di molti quelle bandiere sono anche l’emblema dello Stato di Israele.
Ecco allora il perverso meccanismo che si instaura: la vittima ingombrante del passato diventa il comodo carnefice dell’oggi. Si nazifica Israele, per giudaizzare i palestinesi. Chi ritiene illegittimo Israele, e intende pregiudicarne l’esistenza, ritiene illegittime anche le bandiere della Brigata ebraica. Più grave degli insulti, che non di rado sconfinano in minacce violente, è l’accusa di immoralità. Gli ebrei sono tacciati di essere immorali, anzi disumani. Si pretende di espellerli non solo dal corteo, ma dal consorzio umano. Subumani prima, nell’Europa di Auschwitz, diventano ora disumani — in entrambi i casi vengono de-umanizzati.
Mentre viene avallata una banalizzazione manichea del conflitto mediorientale, dove il bene sta solo da una parte, il male solo dall’altra, l’indignazione prevale, i toni si accendono. Le invettive contro Israele si riversano su ebrei italiani, cittadini europei, che diventano bersaglio di un conflitto anzitutto mediatico il cui scopo è distruggere il prestigio morale degli ebrei, lederne l’immagine. Non sembra infatti che questa nuova, antica inimicizia, questo rinnovato odio abbia altro risultato. Perché è dubbio che i «filo-palestinesi» amino davvero il popolo palestinese e contribuiscano alla ricerca della pace.
Si è parlato di «tensioni» tra gruppi opposti durante il corteo. Ma sarebbe opportuno dire che si è trattato di una aggressione antisemita a nome di un non meglio precisato concetto di democrazia e di vaghi ideali universali, quegli stessi che nel passato recente hanno fatto apparire l’ebraismo un particolare da superare.
Alle manifestazioni antifasciste del Dopoguerra dove, con un’intatta fede nel progresso, si celebrava la Liberazione, gli ebrei sopravvissuti sfilavano accanto agli ex combattenti, cercando di sentirsi di nuovo cittadini, malgrado la ferita delle leggi razziste, le discriminazioni, lo sterminio. In fondo quel posto lo cercano ancora. E forse non potranno trovarlo finché resterà immutata la vecchia impalcatura di un progressismo astratto, di un integralismo ugualitario, che rischia ogni volta di essere chiuso, dogmatico.
Che sia questo il compito del popolo ebraico, di portare la differenza, di impedire la chiusura totalizzante? Che il caso della Brigata ebraica non possa aprire a sinistra — ma non solo — un dibattito su un rinnovamento effettivo?