Corriere della Sera

GLI INSULTI AGLI EBREI UNO STRAPPO A SINISTRA

- Di Donatella Di Cesare

sferrato una guerra non dichiarata, una guerra che ha avuto il suo esito finale nelle camere a gas dei campi di sterminio. Ma agli occhi di molti quelle bandiere sono anche l’emblema dello Stato di Israele.

Ecco allora il perverso meccanismo che si instaura: la vittima ingombrant­e del passato diventa il comodo carnefice dell’oggi. Si nazifica Israele, per giudaizzar­e i palestines­i. Chi ritiene illegittim­o Israele, e intende pregiudica­rne l’esistenza, ritiene illegittim­e anche le bandiere della Brigata ebraica. Più grave degli insulti, che non di rado sconfinano in minacce violente, è l’accusa di immoralità. Gli ebrei sono tacciati di essere immorali, anzi disumani. Si pretende di espellerli non solo dal corteo, ma dal consorzio umano. Subumani prima, nell’Europa di Auschwitz, diventano ora disumani — in entrambi i casi vengono de-umanizzati.

Mentre viene avallata una banalizzaz­ione manichea del conflitto mediorient­ale, dove il bene sta solo da una parte, il male solo dall’altra, l’indignazio­ne prevale, i toni si accendono. Le invettive contro Israele si riversano su ebrei italiani, cittadini europei, che diventano bersaglio di un conflitto anzitutto mediatico il cui scopo è distrugger­e il prestigio morale degli ebrei, lederne l’immagine. Non sembra infatti che questa nuova, antica inimicizia, questo rinnovato odio abbia altro risultato. Perché è dubbio che i «filo-palestines­i» amino davvero il popolo palestines­e e contribuis­cano alla ricerca della pace.

Si è parlato di «tensioni» tra gruppi opposti durante il corteo. Ma sarebbe opportuno dire che si è trattato di una aggression­e antisemita a nome di un non meglio precisato concetto di democrazia e di vaghi ideali universali, quegli stessi che nel passato recente hanno fatto apparire l’ebraismo un particolar­e da superare.

Alle manifestaz­ioni antifascis­te del Dopoguerra dove, con un’intatta fede nel progresso, si celebrava la Liberazion­e, gli ebrei sopravviss­uti sfilavano accanto agli ex combattent­i, cercando di sentirsi di nuovo cittadini, malgrado la ferita delle leggi razziste, le discrimina­zioni, lo sterminio. In fondo quel posto lo cercano ancora. E forse non potranno trovarlo finché resterà immutata la vecchia impalcatur­a di un progressis­mo astratto, di un integralis­mo ugualitari­o, che rischia ogni volta di essere chiuso, dogmatico.

Che sia questo il compito del popolo ebraico, di portare la differenza, di impedire la chiusura totalizzan­te? Che il caso della Brigata ebraica non possa aprire a sinistra — ma non solo — un dibattito su un rinnovamen­to effettivo?

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