Il «tramonto» e le fragilità di Ulisse Così vacilla l’autorità
L’eclissi del padre, il tramonto dell’autorità. Nei secoli passati la figura paterna incarnava la legge e indicava il cammino. La trasparenza totale che domina il nostro tempo, scrive su El País, mette a nudo le fragilità, le imperfezioni, il ridicolo dei tanti «padri» che ci circondano. L’immagine del papà contemporaneo che tramite Facebook o Twitter apre una finestra inedita sulla propria intimità diventa la metafora di un indebolimento comune a «tutte le figure pubbliche che fino al Novecento hanno goduto di un rispetto incondizionato: governanti, politici, soldati, re e sacerdoti». Come Telemaco, «ci ritroviamo in riva al mare, a scrutare l’orizzonte in attesa del nostro Ulisse».
Perché questa semplice e incontrovertibile verità fatica ad affermarsi? Fondamentalmente, perché la legittimità dell’azione militare occidentale contro i gruppi jihadisti nelle varie parti del mondo è contestata o non accettata da rilevanti settori del Paese. Si guardi a come molti parlano della guerra in Afghanistan. Facendo di tutta un’erba un fascio la mettono insieme all’invasione dell’Iraq. Sarebbe anch’essa, nient’altro che una «guerra di Bush». Dimenticando che se certamente l’Iraq è un caso controverso, che ha fin dall’inizio diviso l’opinione pubblica occidentale, questo non è vero per l’Afghanistan. Gli americani intervennero in Afghanistan a seguito dell’11 settembre 2001 proprio perché lì era stato concepito e organizzato quell’attacco. Se c’è stata una guerra con tutti i crismi della «guerra giusta» (così come è stata codificata dal cristianesimo medievale) questa è stata senz’altro la guerra d’Afghanistan. Ma il fatto che questo aspetto non venga riconosciuto o sia stato dimenticato contribuisce a spiegare la diffidenza e il distacco con cui le azioni americane anche in quella parte del mondo vengono guardate da certi settori dell’opinione pubblica italiana: una diffidenza e un distacco tanto più sgradevoli e fuori luogo se si tiene conto del ruolo attivo che i nostri militari hanno avuto e tuttora hanno in Afghanistan e del tributo di sangue pagato in quella missione da tanti nostri soldati.
Difficoltà a distinguere fra gli americani e i veri nemici, difficoltà ad accettare la piena legittimità delle azioni militari di contrasto ai gruppi jihadisti nei vari luoghi ove si combatte, ci fanno correre, qui e ora, un gravissimo rischio. Il rischio è quello del disarmo morale di fronte a una aggressione jihadista che ha ormai anche noi italiani nel mirino (non avevamo certo bisogno degli arresti di jihadisti di qualche giorno fa per averne la conferma). Il rischio è quello di restare psicologicamente, e quindi anche praticamente, impreparati di fronte alla minaccia. Ci sono dalle nostre parti parecchi aspiranti Don Ferrante (il personaggio manzoniano che attribuiva la peste ad influssi astrali anziché al contagio), gente che si rifiuta di riconoscere la natura del male e le ragioni per cui si propaga, gente che non vuole guardare in faccia la realtà, che preferisce aggrapparsi alla rassicurante idea secondo cui la guerra dei jihadisti abbia un solo vero nemico: gli altri musulmani. I Don Ferrante non vogliono sentirsi dire che i nemici dei jihadisti, invece, sono di due tipi: i musulmani corrotti dalla modernità e il mondo occidentale (i crociati) epicentro di quella modernità.
Forse è arrivato il momento di svegliarsi. I nemici ci sono, e non sono gli americani. Ed è un peccato che non bastino gli avvisi di garanzia per fermarli.