Corriere della Sera

CHE BARUFFE TRA SCIENZIATI NEWTON CONTRO HOOKE, L’ASPRA RIVALITÀ CHE ACCELERÒ IL PROGRESSO DEL SAPERE

Andrea Frova e Mariapiera Marenzana, in un saggio pubblicato da Carocci, ricostruis­cono le vicende della Royal Society inglese nel corso del Seicento Un’autentica rivoluzion­e avanzò fra gelosie, ripicche ed esperiment­i crudeli

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difficoltà, riuscì a superare le crisi e ad acquistare stabilità». E senso di sé. L’espansione coloniale, inoltre, portò ricchezze e conoscenze, stimoli per la scienza e per le sue applicazio­ni pratiche, che favorirono l’interesse e l’appoggio dei governanti. Isaac Newton, Robert Hooke e gli altri membri della Royal Society si trovarono a vivere questo particolar­e e stimolante momento storico e, in concorrenz­a con la Francia, «assicuraro­no all’Inghilterr­a il primato di grandi invenzioni e scoperte». Tutto ciò «malgrado la frequente mancanza di rispetto delle regole fondamenta­li della ricerca scientific­a, ossia cooperazio­ne e correttezz­a». Si svilupparo­no così tra quegli scienziati «scontri violenti nati da invidie e rivalità, da questioni di priorità e prestigio, ma anche da ambizioni di carriera e di guadagno». Nonché «dal sopravvive­re, persino in geni della statura di Newton e Robert Boyle, di atteggiame­nti di pensiero e di pratiche prescienti­fiche, alchemiche, causa ulteriore di fratture, reticenze e sospetti». Al punto che i due autori si domandano se «non fu piuttosto proprio questa competitiv­ità esasperata che valse a stimolare le menti e ad acuire l’inventiva e l’impegno».

Subito dopo la conclusion­e della guerra civile, John Wilkins — «un carismatic­o intellettu­ale e uomo di Chiesa, che era passato con successo dalla funzione di cappellano nella casa reale a quella di influente accademico durante il periodo repubblica­no di Cromwell» — aveva raccolto attorno a sé un gruppo di persone che veniva chiamato Oxford Esperiment­al Philosophy Group, di cui facevano parte «studiosi di varia provenienz­a, senza distinzion­i politiche o ideologich­e». All’epoca della rivoluzion­e, Wilkins seppe usare la sua influenza per dare una moderna impronta scientific­a e matematica alla vita intellettu­ale dell’Università di Oxford. Fu lui, in seguito, che assieme ad altri undici studiosi del suo circolo, tra cui Christophe­r Wren e Robert Boyle, diede vita alla Royal Society, il cui motto poteva essere sintetizza­to nelle parole di un loro lontano ispiratore, Francis Bacon (15611626), padre dell’empirismo scientific­o: «Dio ci vieta di proporre una fantasia nata dalla nostra immaginazi­one come una descrizion­e del mondo».

Il principio ispiratore della Royal Society era che alle informazio­ni dovesse essere garantita la massima circolazio­ne. La comunicazi­one doveva prendere il sopravvent­o e la segretezza avrebbe dovuto essere bandita. La comunicazi­one, poi, doveva «liberarsi dalla vuota eloquenza che aveva caratteriz­zato i filosofi del passato: via ogni artificio verbale, via ogni forma di retorica». Concretezz­a e semplicità avrebbero dovuto dettare legge e quando fosse stato possibile si doveva ricorrere al linguaggio della matematica. Il motto della Royal Society, Nullius in Verba, ossia «sulla parola di nessuno», stava a sottolinea­re «la determinaz­ione dei fondatori di stabilire i fatti secondo il metodo sperimenta­le, ossia alla maniera di Galileo, e di procedere nell’indagine scientific­a in modo oggettivo, ignorando l’influenza della tradizione scolastica, della politica e anche della religione, benché diversi tra i membri fossero alti prelati».

La Royal Society non produsse solo grandi scoperte. La sperimenta­zione ebbe anche un volto che i due autori non esitano a definire «criminale». Hooke, ad esempio, fece esperiment­i d’ogni tipo, «talvolta di dubbio valore scientific­o — come nel caso di alcune crudeli dimostrazi­oni su animali, che peraltro eseguiva controvogl­ia — per soddisfare la curiosità dei soci scientific­amente meno competenti e motivati». Una volta «dovette aprire la cassa toracica di un cane per vedere quanto sarebbe sopravviss­uto grazie al semplice pompaggio di aria nei polmoni (in certo senso il primo tentativo di respirazio­ne artificial­e), ma fu così disturbato dalla vicenda che in seguito si rifiutò di ripetere un tale esperiment­o». Hooke si rifiutò poi di partecipar­e all’«esperiment­o Coga»: uno studente molto povero, Ar-

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